001..:: 18.01.2024
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TRINITAPOLI ..:: S’era acquietato alla fine!
Dopo aver trotterellato per tutto il giorno in paese, ed
aver fatto commissioni per zia Maria. Appoggiandosi ora a
quel torso di tronco solitario, che sembrava fosse stato
posizionato lì apposta, si beava di un po’ di quiete per
rinfrancarsi. Se ci fosse stato attorno qualche compagnuccio,
avrebbe inventato magari un gioco, uno scherzo o chissà
cos’altro, ma da solo, non gli veniva voglia di tirare fuori
nulla dal suo spirito giocherellone. Si beava di osservare
la gente che gli passava intorno, immaginando cosa avrebbe
realizzato mastro Michele con quel grosso ciocco.
Intanto cercava di tenere a bada il sudore che rigava la sua
fronte, e colava giù fino a coprirgli tutto il visetto.
Peccato che non s’intravedesse il gelataio! E sì che con il
suo carrettino a navetta a quell’ora egli aveva preso
certamente a compiere il giro del paese, per rinfrancare
ragazzi e gli adulti che gli richiedevano una “formetta”
golosa al limone, alla crema o al cioccolato. Il vispo
Pasqualino aveva in tasca una manciata di mandorle; ce ne
volevano cinque, lui lo sapeva bene, per il bel refrigerio
tanto atteso. Ma non poteva fare il cambio e sapeva che Luca
era solito abboccare alle richieste dei monelli che, dopo
averne trafugato qualcuna, dalle masse di mandorle che si
beavano al sole per asciugarne il seme, fuggivano ed
andavano a cercarlo per rinfrescarsi.
Con la mano in tasca Pasqualino accarezzava il frutto della
sua cattiva azione e non riusciva a tenere a freno la lingua
che già pregustava il sapore sapido del gelato. Ahi, se
l’avesse visto in quei momenti zia Maria! Oltre al
vecchietto che sorvegliava le mandorle stese al sole, per
sua fortuna nessuno lo aveva notato, ma poteva sempre
passare di lì un conoscente, pronto a portare in giro la sua
marachella.
L’aveva fatta franca, dunque niente guai in vista. Ma il
gelataio dov’era? Intanto Pasqualino era lì a godersi il
fresco e riprendeva fiato dopo la corsa per fuggire dal
luogo del “misfatto”.
Ora pensava, progettava e annotava; volgeva i suoi occhietti
vispi tutt’attorno, come suo solito, allorché s’apprestava a
compiere una delle sue solite bravate, certo che nessuno lo
stesse osservando. Invece v’era chi, pur non desiderando che
si ponesse attenzione al suo fare silenzioso, lo stava
osservando.
A guardarlo dalla finestra v’era infatti uno scultore. Stava
mescolando l’argilla con le sue mani impiastricciate.
Muoveva le dita agili e cercava una forma che gli suggerisse
la via per la nuova realizzazione che stava venendo su con
spasmo.
Lui era l’artista, osservatore in attesa, mosso da una forte
curiosità: voleva cioè dare risposta ad un suo
interrogativo. Cosa poteva venir fuori da quell’argilla?
Tutto doveva esser registrato e bloccato, una volta per
sempre, mentre l’ignaro Pasqualino non si rendeva conto di
nulla.
Il nostro era Peppino Lotito, scultore. Aveva lo sguardo
fermo e cercava di bloccare quella scena, quel qualcosa che
forse stava lì lì per mutare. Il pericolo poteva nascondersi
infatti dietro l’angolo: se il piccolo monello si fosse
mosso o si fosse alzato per un moto improvviso, sarebbe
stata la fine per l’opera che faticosamente stava creando!
Le sue dita perciò fremevano, davano forma a ciò che lui
aveva davanti a sé. Ogni pressione dei polpastrelli dava il
via libera ad un suo moto dell’animo che cercava di aderire
in tutto e per tutto alla creatura ch’egli stava
faticosamente vagheggiando, e plasticamente dandole forma.
Alla fine l’atto creativo era compiuto. Il nostro bravo
artista si riguardava compiaciuto l’opera che aveva
realizzato, ma ancora una volta tornava con gli occhi al
soggetto, quel ragazzetto che, di lì a poco, quasi conscio
di aver adempiuto al suo incarico, con un balzo si menava
giù da quel grosso ciocco di legno, si avviava deciso verso
un’altra delle sue destinazioni ignote. Mai più, forse, si
sarebbero incontrati, ma il Lotito ormai l’aveva abilmente
bloccato: l’unico forse che ci fosse mai riuscito. E con
quanta abilità…!
Matteo de Musso
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