011..::.20.04.2013
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Nella foto, la soprano, Luciana Distante.
Proseguiamo questo «percorso musicale» a
cura di Luciana Distante, soprano. E' una iniziativa
dell'Assodolab riservata a coloro che amano la "buona
musica" e gli "autori del passato" che ci accompagnerà per tutto l'anno 2013 su
queste pagine web del nostro Supplemento di informazione
on-line
www.lasestaprovinciapugliese.it
La prossima uscita sarà il prossimo sabato.
La Redazione
Prof. Agostino Del Buono
Regione Puglia, LECCE..:: Che cosa è una voce
verdiana? Che caratteristiche deve possedere? Che cosa la
distingue da un voce non verdiana? Nessuno è mai riuscito a
dare una risposta piena, univoca e convincente. L'unico a
non essersele nemmeno mai poste, queste domande, è stato
proprio Giuseppe Verdi, che tra l'altro andava su tutte le
furie quando qualcuno riduceva il suo cognome ad un
aggettivo.
Nei confronti dei suoi interpreti, reali e ideali, Verdi
aveva idee piuttosto originali e assai varie. Della
protagonista del Macbeth, ad esempio, scrive: "Voglio una
Lady brutta e cattiva (...) una voce aspra, soffocante,
acuta (...) vorrei che la voce di Lady Macbeth fosse
qualcosa di diabolico". E quando ascolta Gemma Bellincioni a
Roma, nel 1882, la trova l'interprete ideale di Violetta non
perché possieda doti vocali straordinarie, ma perché recita
in modo "realistico". E ancora di Felice Varasi, il primo
interprete del ruolo di Macbeth, Verdi dirà: "È un cantante
propenso alla stonatura, ma questo non importa, perché quasi
tutta la parte sarà declamata e in questo egli è molto
bravo". Ciò non vuol dire che le voci verdiane non esistono,
che sono solo una astrazione priva di significato. C'è in
effetti una dote della quale una voce verdiana non può fare
mai a meno ed è la capacità di tradurre nelle forme del
canto la cosiddetta "parola scenica", ossia quella parola
che "scolpisce e rende netta la situazione". Da questo punto
di vista le voci del passato, remoto e prossimo, capaci di
coniugare in una sintesi superiore il valore drammatico e il
valore musicale dell'espressione vocale si contano su poche
dita: Enrico Caruso, Mario Del Monaco, Giuseppe Di Stefano,
Franco Corelli, Carlo Bergonzi, Placido Domingo tra i
tenori, Ettore Bastianini, Gian Giacomo Guelfi, Piero
Cappuccilli, Leo Nucci, tra i baritoni, Renata Tebaldi,
Antonietta Stella, Jessye Norman, Leyla Gencer, Maria Callas
tra i soprani, Ebe Stignani, Fiorenza Cossotto, Giulietta
Simionato tra i mezzosoprani. Non è una lista di merito,
ovviamente, ma solo una luce accesa su quelle voci che più
consapevolmente hanno saputo fondere, nelle opere di Verdi,
il canto, la parola e il gesto.
Gian Paolo Minardi, parlando di Bergonzi, ricorda a tal
proposito: “non è solo talento, naturale disposizione, bensì
completa penetrazione nel processo stesso che ha guidato
Verdi nel plasmare vocalmente i propri personaggi",
aiutandoci attraverso una spaziatura cronologica che va
dall'Oberto al Falstaff, "a capire meglio la portata di
quella categoria che è la cosiddetta voce verdiana, termine
in effetti che si risolve sovente in una generica maggior
consistenza di spessore o in uno spicco di più marcata
evidenza."
Bergonzi stesso afferma: "Io forse ho avuto, non so, ma
l'hanno già detto tanti critici, l'intelligenza di dare
un'espressione al canto verdiano, dopo aver imparato la
tecnica vocale e studiato tanto, di interpretare cioè Verdi
come credo volesse lui. È vero — lo dice con ironia — sono
vecchio, ma non tanto d'averlo conosciuto. Credo però di
averlo servito bene il mio Verdi. Spesso confondiamo,
diciamo che uno è Verdiano perché canta molto Verdi. Non è
vero niente. Perché certe voci si chiamano voci verdiane? o
veriste, o romantiche? Ci sarà un perché, un colore, una
tecnica che le contraddistingue”. E prosegue: “Guardate
Tullio Serafin, io ho imparato da questo grande maestro, un
uomo che sapeva, che dava istruzioni ai giovani li metteva
sulla strada giusta. Lui diceva: ci sono questi cantanti,
allora si può fare l'Aida. Ci sono questi altri, allora si
può fare l'Elisir d'Amore. Oggi invece scelgono prima
l'opera, poi il regista, il maestro e i cantanti per ultimi.
Proprio il grande Giulini, che è della vecchia scuola,
ancora mi diceva a Vienna: Come fare il Trovatore oggi? Se
vogliamo fare il Trovatore, quello di Verdi. Oggi nel mondo
si deve prendere quella partitura e metterla nel cassetto.
La tirerò fuori quando ci sarà la compagnia. E dubitava
ormai di riuscire. Non c'è un tenore, un soprano, un
mezzosoprano, un baritono verdiano. L'ultimo è stato
Cappuccilli. Ci sono in giro grandi cantanti, grandi
interpreti, ma verdiani no. Non si possono mandare i giovani
allo sbaraglio, al massacro. Se per cinque o sei anni si
tengono nel cassetto queste grandi opere, intanto che i
giovani maturino, che il palcoscenico insegni loro tante
cose, che un repetorio adatto li formi, ecco che avremo
ancora tutta la gamma delle voci, dai tenori di grazia a
quelli leggeri, lirico-leggeri, lirico-spinti e drammatici”.
Tornando a Verdi, questo compositore non accetta
assolutamente le voci chiare. Per Verdi occorrono le voci
coperte. Verdi non permette il contrario, nemmeno ne La
Traviata, o inRigoletto. Verdi ha scritto molto sul
passaggio, e ha scritto in modo che non è mai sdolcinato
perciò le voci chiare non sono adatte. Verdi diventa facile,
quando si possiede la tecnica vocale, perché ha scritto
tutti i segni espressivi, i "piano", i "pianissimo", i "tre
p", "col canto", basta seguirlo fedelmente. Ma poi ci vuole
il colore della voce, come abbiamo detto.
Quando però Verdi scrive "col canto" lascia libero il
cantante al suo istinto musicale, alla sua interpretazione.
Il repertorio verdiano è certamente un repertorio della
maturità vocale perché è richiesta una tecnica di canto
saldissima, le cui prime conseguenze sono la possibilità di
reggere la lunghezza degli spartiti, la massa orchestrale,
duetti ed ensamble con tenore, baritoni e coro, ed al tempo
stesso sfoggiare una dinamica dal pianissimo al fortissimo.
Mai come nel tardo Verdi la saldezza tecnica è il
presupposto per una esaustiva esecuzione dello spartito ed,
al tempo stesso, mai come nel tardo Verdi, in primis per lo
spessore orchestrale,è possibile incorrere nell’errore di
una ricerca affannosa di volume e foga, scambiate per
aderenza al personaggio ed al dramma.
Farsi prendere la mano soprattutto per voci dotate in Verdi
è molto facile. Il risultato potrebbe essere un precoce
declino, derivato dalla tendenza ad emettere note di petto
in zona centrale a ghermire gli acuti, a trascurare per
insipienza tecnica la dinamica, che sono riposo per la voce.
Luciana Distante
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