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La libertà religiosa.

021 ..:: 18.02.2017 :: 18:30

 

 

 

 

 

 

::: SOVERATO :: Ai sensi dell’art. 19 Cost., «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume».
La libertà religiosa postula la pretesa di una prestazione negativa da parte dello Stato, tenuto ad astenersi da quegli atti che possano impedirne il libero esercizio, e non già di una prestazione positiva alla stregua dei cd. diritti sociali .
Il disposto dell’art. 19 Cost. si indirizza a tutti, non solo ai cittadini italiani (stranieri, apolidi, rifugiati, ecc.), come, invece, nel caso di altre libertà.
Dall’art. 19 Cost. si evincono, inoltre, le seguenti altre libertà:
- la libertà di fede (ivi compresa la cd. libertà religiosa negativa o libertà di ateismo);
- la libertà di propaganda;
- la libertà di culto.
Relativamente a quest’ultima, il limite fissato dalla Costituzione risiede nel divieto di riti contrari al buon costume, che sono quei riti che offendono il pudore sessuale, la libertà sessuale ed il sentimento morale.

LIBERTÀ RELIGIOSA – LA STIPULAZIONE DELLE INTESE
La Costituzione sancisce il diritto di professare le proprie convinzioni, anche religiose. In particolare, l’articolo 3 prevede la non discriminazione in base aragioni legate al sesso alla razza, alla lingua, alle opinioni politiche, alle condizioni personali e, appunto, alla religione, e l’articolo 21 il diritto per tutti di manifestare liberamente il proprio pensiero.
La libertà religiosa è garantita dall’articolo 19 che stabilisce il diritto per tutti di professare liberamente la propria fede religiosa e dall’articolo 20 che vieta l’introduzione di speciali limitazioni legislative o fiscali per le associazioni religiose.
I rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose sono disciplinati dagli articoli 7 e 8 della Costituzione, relativi ai rapporti tra Stato e, rispettivamente, Chiesa cattolica e confessioni non cattoliche.

I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica
L’articolo 7 della Costituzione stabilisce quale sia la reciproca posizione istituzionale dello Stato e della Chiesa cattolica, affermando che “sono ciascuno, nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”.
In base a tale articolo, i rapporti istituzionali tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono disciplinati dai Patti Lateranensi, stipulati l’11 febbraio 1929 e resi esecutivi con la L. 810/1929 nonché dall’Accordo di modificazione del Concordato e dal “Protocollo addizionale” del 18 febbraio 1984.

I rapporti tra Stato e confessioni non cattoliche
I rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose non cattoliche (o acattoliche) sono regolati dall’articolo 8 della Costituzione, che sancisce il principio di eguale libertà di tutte le confessioni religiose. Viene riconosciuta alle confessioni non cattoliche l’autonomia organizzativa sulla base di propri statuti, a condizione che questi non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano ed è posto il principio secondo il quale i rapporti delle confessioni con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Per quanto riguarda l’autonomia organizzativa delle confessioni diverse dalla cattolica, la Corte costituzionale, con la sentenza 43/1988, ha chiarito che “al riconoscimento da parte dell’art. 8, secondo comma, Cost., della capacità delle confessioni religiose, diverse dalla cattolica, di dotarsi di propri statuti, corrisponde l’abbandono da parte dello Stato della pretesa di fissarne direttamente per legge i contenuti. Con questa autonomia istituzionale, che esclude ogni possibilità di ingerenza dello Stato nell’emanazione delle disposizioni statutarie delle confessioni religiose.” La Corte ha quindi affermato il principio secondo cui il limite al diritto riconosciuto alle confessioni religiose dall’art. 8 Cost. di darsi i propri statuti, purché ‘non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano’ si può intendere riferito “solo ai principi fondamentali dell’ordinamento stesso e non anche a specifiche limitazioni poste da particolari disposizioni normative”.
Il principio della regolazione con intesa, che, come si è visto, avrebbe dovuto costituire la forma principale di rapporto con le confessioni non cattoliche, in realtà è stato attuato solamente a partire dalla metà degli anni ‘80 e riguarda alcune delle varie confessioni presenti in Italia (vedi oltre).
Attualmente, la disciplina riguardante le confessioni non cattoliche presenti in Italia è diversa a seconda che queste abbiano o meno proceduto alla stipulazione di una intesa con lo Stato.

I rapporti tra lo Stato e le confessioni non cattoliche prive di intesa
Per le confessioni prive di intesa è tuttora applicata la legge sui “culti ammessi”, legge 1159/1929 e il relativo regolamento di attuazione .
La legge del 1929 si fonda sul principio della libera ammissione dei culti diversi dalla religione cattolica “purché non professino princìpi e non seguano riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume”. Entro questi limiti, viene affermata la libertà di coscienza e di culto in tutte le sue forme e dell’eguaglianza dei cittadini, qualunque sia la religione da essi professata.
Lo Stato, attraverso il Ministero dell’interno, esercita penetranti poteri di controllo nei confronti degli enti riconosciuti. In particolare, sono previste le seguenti misure:
• l’approvazione governativa delle nomine dei ministri di culto con la precisazione che “nessun effetto civile può essere riconosciuto agli atti compiuti da tali ministri se la loro nomina non abbia ottenuto l’approvazione governativa”;
• l’autorizzazione dell’ufficiale dello stato civile alla celebrazione del matrimonio con effetti civili davanti ad un ministro di culto non cattolico;
• la vigilanza sull’attività dell’ente, al fine di accertare che tale attività non sia contraria all’ordinamento giuridico e alle finalità dell’ente medesimo. La vigilanza include la facoltà di ordinare ispezioni e, in caso di gravi irregolarità, di sciogliere l’ente e di nominare un commissario governativo per la gestione temporanea.
Il R.D. 289/1930 non si è limitato a dettare norme per l’attuazione della legge, ma ha stabilito princìpi nuovi ed in parte più restrittivi. Ad esempio:
• è prevista la necessaria autorizzazione con decreto per l’apertura di templi o oratori, subordinatamente all’accertamento, da parte dell’autorità amministrativa, della necessità di essi “per soddisfare effettivi bisogni religiosi di importanti nuclei di fedeli” ed della sussistenza di “mezzi sufficienti per sostenere le spese di manutenzione”;
• i fedeli di un culto ammesso possono tenere riunioni pubbliche, senza autorizzazione preventiva, solo negli edifici aperti al culto ed a condizione che la riunione sia “presieduta o autorizzata da un ministro di culto” nominato con la prevista autorizzazione.
Il R.D. 289/1930 prevede anche disposizioni di favore, quali:
• la facoltà di prestare assistenza religiosa nei luoghi di cura e di ritiro, presso le Forze armate, gli istituti penitenziari;
• le esenzioni dal servizio militare;
• la possibilità, per i genitori di famiglia professante un culto non cattolico, di chiedere la dispensa per i propri figli dal frequentare i corsi di istruzione religiosa nelle scuole pubbliche e di ottenere che sia messo a loro disposizione un locale scolastico per l’insegnamento religioso dei loro figli.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 346 del 2002, ha giudicato costituzionalmente illegittima una disposizione di una legge della Regione Lombardia che prevede benefici per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi, nella parte in cui introduceva come elemento di discriminazione fra le confessioni religiose che aspirano ad usufruire dei benefici, avendone gli altri requisiti, l’esistenza di un’intesa per la regolazione dei rapporti della confessione con lo Stato.

La Corte ha affermato che le intese previste dall’art. 8, terzo comma, Cost. non sono e non possono essere una condizione imposta dai poteri pubblici alle confessioni per usufruire della libertà di organizzazione e di azione loro garantita dal primo e dal secondo comma dello stesso art. 8 né per usufruire di benefici a loro riservati, quali, nella specie, l’erogazione di contributi; risultano altrimenti violati il divieto di discriminazione (art. 3 e art. 8, primo comma, Cost.), nonché l’eguaglianza dei singoli nel godimento effettivo della libertà di culto (art. 19, Cost.), di cui l’eguale libertà delle confessioni di organizzarsi e di operare rappresenta la proiezione necessaria sul piano comunitario e sulla quale esercita una evidente, ancorché indiretta influenza, la possibilità per le medesime di accedere a benefici economici come quelli previsti dalla legge oggetto del giudizio di costituzionalità.

Il riconoscimento della personalità giuridica degli enti, associazioni o fondazioni di confessioni religiose presuppone come condizione ineludibile che si tratti di religioni i cui princìpi e le cui manifestazioni esteriori (riti) non siano in contrasto con l’ordinamento giuridico dello Stato.
La richiesta per il riconoscimento della personalità giuridica è presentata dal soggetto interessato al prefetto. Alla domanda deve essere allegato lo statuto dell’ente. Il riconoscimento viene concesso, su proposta del ministro dell’interno, con decreto del Presidente della Repubblica, uditi il Consiglio di Stato (che esprime un parere di legittimità) ed il Consiglio dei ministri (il quale si pronuncia in merito alla opportunità politica).

Pur essendo venuta meno l’obbligatorietà del parere del Consiglio di Stato con l’approvazione della legge 127/1997 (art. 17, commi 25-27), che ha dettato una disciplina generale dei pareri di tale organo, stabilendo tassativamente i casi in cui i pareri sono obbligatori e non ricomprendendo tra questi il riconoscimento della personalità giuridica, rimane tuttavia in capo all’Amministrazione la facoltà di richiedere il parere dell’organo consultivo qualora ne ravvisi la necessità.

A seguire, si elencano gli enti di culto (diversi dal cattolico) che hanno ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica e i relativi provvedimenti di riconoscimento.

La libertà religiosa è una libertà alla quale la Costituzione dedica maggiore attenzione. Se ne occupano direttamente gli artt.2,3,7,8,19 e 20.Vi sono poi numerosi altri articoli che se ne occupano indirettamente.
In via generale già i cardini dell’ordinamento, gli artt. 2 e 3, da una parte riconoscono i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, “sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” e, dall’altra stabiliscono il principio di eguaglianza che pone il divieto assoluto di discriminazione in base a ragioni legate al sesso alla razza, alla lingua, alle opinioni politiche, alle condizioni personali e, appunto, alla religione.
I rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose non cattoliche sono regolati dall’articolo 8 della Costituzione, che sancisce il principio di eguale libertà di tutte le confessioni religiose, sebbene questo debba intendersi come fonte di “uguaglianza nella libertà” e non come uguaglianza nel trattamento giuridico, che nell’applicazione legislativa è stato modulato, ragionevolmente, anche alla luce del numero degli aderenti, delle radici sociali e delle tradizioni storiche di ciascun culto. Viene riconosciuta alle confessioni non cattoliche l’autonomia organizzativa sulla base di propri statuti, a condizione che questi non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano ed è posto il principio secondo il quale i rapporti delle confessioni con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
A partire dal 1984, lo Stato italiano, in attuazione dell’articolo 8, terzo comma, della Costituzione, ha proceduto a stipulare intese con alcune confessioni religiose[1].


2. Stato delle Intese.
a) Intese approvate con legge.
Alcune di queste intese sono state approvate con legge ai sensi dell’art.8 della Costituzione e sono le seguenti:
 

Confessione religiosa Legge
Tavola valdese L. 449/1984,
integrata con la L. 409/1993
Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno L. 516/1988,
modificata dalla L. 637/1996
Assemblee di Dio in Italia L. 517/1988
Unione delle Comunità ebraiche italiane L. 101/1989,
modificata dalla L. 638/1996
Unione cristiana evangelica battista d’Italia L. 116/1995
Chiesa evangelica luterana in Italia L. 520/1995

 

b) Intese firmate e non approvate con legge.
Si devono ricordare che esistono una serie di intese concluse e non ancora ratificate dal Parlamento.
 

 

Confessione religiosa Data della firma dell’intesa
Tavola valdese (modifica) 4 aprile 2007[2]
Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno (modifica) 4 aprile 2007[3]
Chiesa apostolica in Italia 4 aprile 2007
Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni (Mormoni) 4 aprile 2007
Congregazione cristiana dei testimoni di Geova 4 aprile 2007[4]
Sacra Arcidiocesi d’Italia ed Esarcato per l’Europa meridionale 4 aprile 2007
Unione buddista italiana (UBI) 4 aprile 2007
Unione induista italiana 4 aprile 2007

 

Nella XV legislatura il Governo non ha presentato alle Camere i disegni di legge di approvazione delle intese sopra citate.
Nella legislatura in corso sono stati assegnati alla Commissione affari costituzionali della Camera due disegni di legge di iniziativa governativa, già approvati dalla I Commissione Affari costituzionali del Senato in sede deliberante (A.C. 2321 e A.C. 2262 già A.S. 1107 e A.S. 1106 ), volti a recepire le intese rispettivamente con la Tavola Valdese (modifica) e con l’Unione italiana delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° giorno (modifica). Il dibattito al Senato si è svolto in un clima di collaborazione ed entrambi le intese sono state ratificate all’unanimità e con una certa rapidità, se si calcola che i disegni di legge erano stati presentati ad ottobre. Nel caso di quella sui Valdesi, cui relatore era il Senatore del Pd Stefano Ceccanti, è stato anche accolto un emendamento dello stesso relatore relativo al periodo d’imposta di riferimento.
c) Confessioni religiose con le quali sono in corso trattative per la stipulazione di intesa. Risulta attualmente in corso di stipulazione l’intesa con la seguente confessione:
 

Istituto buddista italiano Soka Gakkai Confessione riconosciuta come ente di culto con D.P.R. del 20 novembre 2000
Parere favorevole del Ministero interno all’avvio delle trattative, in data 11 aprile 2001.
Le trattative sono iniziate il 18 aprile 2001
 

 

Fonte: Presidenza del Consiglio (www.governo.it)

Dal punto di vista tecnico-giuridico, non sono state avviate, fino ad oggi trattative per la conclusione di intese, ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione, con associazioni islamiche.

Procedura per le intese e la legge di approvazione delle intese
La procedura per la stipulazione delle intese non è disciplinata in via legislativa. Si è formata peraltro, a partire dal 1984 (data della prima attuazione del dettato costituzionale in tale materia), una prassi consolidata.
Le trattative vengono avviate soltanto con le confessioni che abbiano ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica nel nostro Paese ai sensi della legge 1159/1929. Tale riconoscimento presuppone che sia stata già effettuata una verifica della compatibilità dello statuto dell’ente rappresentativo della confessione con l’ordinamento giuridico italiano, così come richiesto dallo stesso articolo 8, comma 2, della Costituzione.
L’esame di compatibilità viene condotto sia dal Ministero dell’interno, competente per l’istruttoria volta al riconoscimento, sia dal Consiglio di Stato, il quale è chiamato ad esprimere il proprio parere in merito Come in precedenza ricordato, il parere del Consiglio di Stato in materia non è obbligatorio, pur essendo sempre riservata all’Amministrazione la facoltà di richiederlo. concernente anche il carattere confessionale dell’organizzazione richiedente.
La competenza ad avviare le trattative, in vista della stipulazione di tali intese, spetta al Governo: a tal fine, le confessioni interessate che hanno conseguito il riconoscimento della personalità giuridica si devono rivolgere, tramite istanza, al Presidente del Consiglio.
L’incarico di condurre le trattative con le rappresentanze delle confessioni religiose è affidato dal Presidente del Consiglio al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con funzioni di Segretario del Consiglio dei Ministri, il quale si avvale di una apposita Commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose, istituita presso la stessa Presidenza per la prima volta nel 1985.
La Commissione per le intese con le confessioni religiose è istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ed è composta oltre che dal Presidente da rappresentanti dei Ministeri interessati: interno, giustizia, tesoro, finanze (ora accorpati nel Ministero dell’economia e delle finanze), difesa, pubblica istruzione (ora istruzione, università e ricerca), beni e attività culturali, sanità (ora salute).
La Commissione, su indicazione del Sottosegretario, predispone le bozze di intesa unitamente alle delegazioni delle confessioni religiose che ne hanno fatto richiesta. Sulle bozze di intesa esprime il proprio preliminare parere la Commissione consultiva per la libertà religiosa, operante presso la Presidenza del Consiglio dal 1997.
La Commissione consultiva per la libertà religiosa è stata istituita presso la Presidenza del Consiglio con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri il 14 marzo 1997, il quale le attribuisce funzioni di studio, informazione e proposta per tutte le questioni attinenti all’attuazione dei principi della Costituzione e delle leggi in materia di libertà di coscienza, di religione o credenza. La Commissione procede alla ricognizione e all’esame dei problemi relativi alla preparazione di intese con le Confessioni religiose, e si esprime su questioni attinenti alle relazioni tra Stato e confessioni religiose in Italia e nell’Unione europea che le vengono sottoposte dal Presidente del Consiglio dei ministri e segnala, a sua volta, problemi che emergono in sede di applicazione della normativa vigente in materia, anche di derivazione internazionale.
Una volta che siano state firmate dal Presidente del Consiglio e dal Presidente della confessione religiosa, le intese sono trasmesse al Parlamento per l’approvazione con legge.
L’art. 8 della Costituzione stabilisce che i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica sono regolati per legge, sulla base di intese con le relative rappresentanze: si tratta quindi di una riserva di legge rinforzata, essendo caratterizzata da aggravamenti procedurali, che non consente la modifica, abrogazione o deroga di tali leggi se non mediante leggi ordinarie che abbiano seguito la stessa procedura bilaterale di formazione.

4. Procedura parlamentare.
Per quanto riguarda i riflessi sulla procedura parlamentare, si è posto il problema dell’ammissibilità dell’iniziativa parlamentare per i progetti di legge volti a regolare i rapporti con le confessioni religiose.
L’art. 8 della Costituzione pone una riserva di legge in materia, ma non specifica se l’iniziativa legislativa al riguardo sia attribuita in via esclusiva al Governo, in quanto titolare del potere di condurre le trattative e stipulare le intese, e individua nella stipula delle intese un presupposto costituzionalmente necessario per l’inserimento nell’ordinamento di una legge che regoli i rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose. Ciò analogamente a quanto avviene per i disegni di legge di ratifica dei trattati internazionali, in merito ai quali l’avvenuta stipula del trattato costituisce un presupposto necessario dell’iniziativa legislativa.
Come per la ratifica dei trattati, anche in relazione alle intese, non vi sono norme che espressamente attribuiscono l’iniziativa legislativa in materia esclusivamente al Governo (a differenza di quanto avviene per altri procedimenti legislativi, quale la legge di bilancio, di cui all’art. 81 Cost.); parimenti, l’art. 117 Cost., secondo comma, lettera c), rimette la materia dei rapporti fra la Repubblica e le confessioni religiose, alla competenza esclusiva dello Stato, senza individuare limiti all’iniziativa parlamentare.
La Giunta del Regolamento della Camera dei deputati, dopo aver affrontato la questione della titolarità dell’iniziativa legislativa per la presentazione di progetti di legge volti ad autorizzare la ratifica di trattati internazionali, nella seduta del 5 maggio 1999 – adeguandosi ad una prassi invalsa presso l’altro ramo del Parlamento – si è pronunciata per l’ammissibilità dell’iniziativa parlamentare in tale materia, ove ricorrano i necessari presupposti di fatto.
Come sopra ricordato, secondo la dottrina prevalente, le intese differirebbero dall’autorizzazione alla ratifica in quanto tipici atti bilaterali. Pertanto se si ritengono ammissibili proposte di legge di iniziativa parlamentare per l’autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali che sono atti tra ordinamenti indipendenti e sovrani, non sembrano a fortiori sussistere elementi ostativi all’ammissibilità di proposte di legge di iniziativa parlamentare per l’approvazione delle intese che sono atti interni.
A favore dell’inammissibilità sembrano invece far propendere due considerazioni: per le intese – a differenza di quanto previsto per l’autorizzazione alla ratifica[6] – non è prevista alcuna forma di comunicazione in merito all’avvenuta stipulazione e al contenuto delle stesse, per cui risulterebbe difficile per i singoli parlamentari presentare una proposta di legge che recepisca le intese stipulate. Tale difficoltà appare, peraltro, superabile qualora l’intesa risulti oggetto di un disegno di legge di iniziativa governativa già presentato: in tal caso la conoscenza della stessa ai fini della trasfusione in una proposta di legge di iniziativa parlamentare risulterebbe possibile; l’iniziativa legislativa parlamentare in materia di rapporti con le confessioni religiose potrebbe determinare, una volta approvata la legge, un vincolo per il Governo, il quale potrebbe trovarsi obbligato ad assumere decisioni o ad esplicitare la propria posizione nei confronti di confessioni religiose (con le quali pure abbia già stipulato un’intesa) in tempi da esso ritenuti inopportuni.
Non risultano comunque, a differenza di quanto avviene per i progetti di legge di ratifica di trattati internazionali, precedenti di proposte di legge di iniziativa parlamentare volte a recepire intese con confessioni religiose.
La forma dell’articolato e la procedura di approvazione parlamentare del disegno di legge di approvazione con votazioni articolo per articolo, alla stregua di qualsiasi progetto di legge, pone la questione dell’emendabilità o meno del testo. Nel corso dei lavori parlamentari, si è affermata una prassi che pur non escludendo in assoluto la emendabilità, limita l’ambito di intervento del Parlamento a modifiche non sostanziali.
Natura delle intese
Sulla natura delle intese, e di conseguenza delle leggi approvate sulla base delle intese, la dottrina si divide tra i sostenitori della tesi dell’intesa quale atto esterno, e quindi paragonabile al trattato internazionale che è recepito dall’ordinamento con legge di esecuzione, e quelli che ne sostengono la natura di atto interno.
In base alla seconda teoria le intese costituiscono sì dei tipici atti bilaterali, ma essi non sono stipulati tra due ordinamenti indipendenti e sovrani, come è il caso degli accordi tra Stati o tra Stato e Chiesa cattolica, bensì intervengono tra lo Stato (ordinamento primario) ed una società intermedia sottoposta alla sovranità dello Stato (la confessione religiosa non cattolica).
Nella prassi prevalente dal 1984, le leggi sulla base di intese sono state definite leggi di approvazione. A differenza delle leggi di esecuzione dei trattati internazionali, costituite solitamente da un articolo unico recante la formula di esecuzione del trattato che è allegato alla legge, le leggi di approvazione delle intese sono costituite da un articolato che riproduce sostanzialmente, con poche modifiche formali, il testo dell’intesa, anch’essa allegata alla legge.

Contenuti essenziali delle intese approvate.
Le intese finora intervenute danno atto della autonomia e della indipendenza degli ordinamenti religiosi diversi da quello cattolico. Ciascuna intesa contiene disposizioni dirette a disciplinare i rapporti tra lo Stato e quella confessione religiosa che ha stipulato l’intesa. Si tratta, pertanto, di norme specifiche, spesso finalizzate a tutelare aspetti particolari, peculiari della confessione interessata. Si possono tuttavia individuare alcuni elementi ricorrenti: quasi tutte le intese recano disposizioni per l’assistenza individuale nelle caserme, negli ospedali, nelle case di cura e di riposo e nei penitenziari, per l’insegnamento della religione nelle scuole, per il matrimonio, per il riconoscimento di enti con fini di culto, istruzione e beneficenza, per il regime degli edifici di culto e per i rapporti finanziari con lo Stato nella ripartizione dell’8 per mille del gettito IRPEF e, infine, per le festività.
In generale, tali disposizioni concorrono a definire un regime più indipendente rispetto a quello valido per le confessioni prive di intesa.
In questo senso particolarmente significative sono le disposizioni relative ai ministri del culto: per le confessioni che hanno stipulato le intese cessano di avere efficacia le norme sui “culti ammessi”, che prevedono l’approvazione governativa delle nomine dei ministri; le confessioni nominano pertanto i propri ministri senza condizioni, salvo l’obbligo di registrazione in appositi elenchi.
Inoltre, diversa è la procedura relativa al riconoscimento della personalità giuridica degli istituti di culto: per quelli afferenti alle confessioni religiose che per prime hanno stipulato l’intesa, il procedimento ricalca quella per i “culti ammessi”, mentre per gli istituti di culto delle Chiese battista e luterana è prevista una procedura semplificata di emanazione con decreto ministeriale e non con decreto del Presidente della Repubblica.

Contenuto delle intese firmate il 4 aprile 2007 con l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno e la Tavola valdese
Le intese firmate il 4 aprile 2007 che il Parlamento è chiamato ad approvare con i disegni di legge in esame modificano, rispettivamente, l’intesa stipulata il 29 dicembre 1986 con l’Unione italiana delle Chiese avventiste del 7° giorno (approvata con legge 22 novembre 1988, n. 516) e l’intesa stipulata il 25 gennaio 1993 con la Tavola valdese (approvata con legge 5 ottobre 1993, n. 409).
Questi i contenuti sostanziali delle due intese.
L’intesa firmata con l’Unione italiana delle Chiese avventiste del 7° giorno ha come obiettivo la modifica dell’articolo 14, comma 1, della legge 22 novembre 1988, n. 516 («Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione italiane delle Chiese avventiste del 7° giorno»).
L’attuale articolo 14, comma 1, consente il riconoscimento dei «diplomi di teologia e di cultura biblica rilasciati, secondo il vigente regolamento, al termine di corsi triennali, a studenti in possesso del titolo di studio di scuola secondaria superiore, dall'Istituto avventista di cultura biblica». La modifica che l’intesa firmata il 7 aprile 2007 intende introdurre è quella di consentire il riconoscimento anche delle lauree in teologia conferite dall’Istituto avventista di cultura biblica («sono riconosciuti, ai sensi della normativa vigente, le lauree in teologia ed i diplomi in teologia e in cultura biblica rilasciati dall'Istituto avventista di cultura biblica a studenti in possesso del titolo di studio di scuola secondaria superiore»).
L’intesa firmata con la Tavola valdese ha come obiettivo la modifica dell’articolo 4, comma 3, della legge 5 ottobre 1993, n. 409 («Integrazione dell’intesa tra il Governo della Repubblica italiana e la Tavola valdese, in attuazione dell’articolo 8, terzo comma, della Costituzione»).
L’articolo 4, comma 1, dispone la concorrenza della Tavola valdese (insieme ai soggetti stipulanti analoghi accordi) alla ripartizione della quota pari all’otto per mille dell’IRPEF, liquidata dagli uffici sulla base delle espresse dichiarazioni annuali dei contribuenti. Si tratta di un meccanismo di ripartizione oggi previsto con riferimento alla Chiesa cattolica, l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste, le Assemblee di Dio in Italia, la Chiesa evangelica luterana in Italia e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane (non è invece previsto nell’intesa sottoscritta dall’Unione cristiana evangelica battista d’Italia). Lo stesso comma precisa che “la Tavola valdese utilizzerà le somme devolute a tale titolo dai contribuenti esclusivamente per interventi sociali, assistenziali, umanitari e culturali in Italia e all'estero sia direttamente, attraverso gli enti aventi parte nell'ordinamento valdese, sia attraverso organismi associativi ed ecumenici a livello nazionale e internazionale.”
L’attuale articolo 4, comma 3, dispone invece la non partecipazione della Tavola valdese alla quota «relativa ai contribuenti che non si sono espressi in merito». Analoga rinuncia espressa alla partecipazione a tale quota è prevista con riferimento alle Assemblee di Dio in Italia. La partecipazione alla ripartizione di tale ulteriore quota (non prevista con riferimento alla sola Unione cristiana evangelica battista d’Italia), è invece prevista con riferimento alla Chiesa cattolica, l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste, la Chiesa evangelica luterana in Italia e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane.
La modifica che l’intesa firmata il 7 aprile 2007 intende introdurre è quella di consentire l’attribuzione alla Tavola valdese anche delle somme relative ai contribuenti che non abbiano espresso alcuna preferenza. Tale attribuzione verrà effettuata in proporzione alle scelte espresse.

 

Marfa

 

 



 

Note:
 





 



 

 

 

 

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