018 ..:: 15.02.2017 :: 18:30
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SOVERATO :: Lo Stato italiano è una Repubblica laica e
aconfessionale; manca cioè una religione ufficiale, sebbene
nella Costituzione non vi sia una espressa previsione del
principio di laicità, ma lo stesso sia ricavabile in via
interpretativa da numerosi articoli della Carta (cfr. artt.
2, 3, 7, 8, 19, 20).
Il principio di laicità, peraltro, è stato più volte
ribadito dalla giurisprudenza ed è da ritenersi un principio
costituzionale a tutti gli effetti.
Esso esprime un’eguale tutela del sentimento religioso,
indipendentemente dalla singola confessione.
Da tale principio discende, inoltre, una serie di corollari,
enucleati dalla giurisprudenza costituzionale:
- il pluralismo confessionale (sent. n. 440/1995);
- il divieto di discriminazione tra i culti (sent. n.
440/1995 e n. 329/1997);
- la distinzione degli ordini (sent. n. 334/1996);
- l’equidistanza e l’imparzialità della legislazione
rispetto a tutte le confessioni religiose (sent. n.
508/2000).
VARIETÀ DI ESPRESSIONI
Nella società contemporanea, multiculturale e multireligiosa,
la laicità dello Stato, con riferimento ai temi della
secolarizzazione, della neutralità rispetto alla questione
delle “verità religiose”, della separazione tra la sfera
politica e quella religiosa e del riconoscimento come
diritti delle libertà di religione e verso la religione,
costituisce il punto di riferimento fondamentale per evitare
fenomeni di fondamentalismo e integralismo religioso e per
ottenere il risultato di una civile convivenza fra tutti, a
prescindere dalle diverse connotazioni di ciascuno:
religiose, etiche, razziali, linguistiche, etniche,
politiche, di sesso, di orientamento sessuale od altro.
Il principio di laicità dello Stato costituisce un principio
di convivenza valido per tutti: la laicità non è altro che
principio di democrazia, difesa del pari diritto,
riconoscimento della libertà di coscienza, regola del «non
fare ad altri ciò che non vorresti essere fatto a te»,
contro qualsiasi principio restrittivo .
Il laico non è una persona che non vuole credere o che non
crede; anche i laici, come tutti gli esseri umani, credono
ed esprimono, nell’ambito filosofico, culturale e religioso,
convinzioni, passioni, fedi e dunque è improponibile la
definizione dei laici come “non credenti”. E non è neppure
proponibile una contrapposizione tra “laici” e “cattolici”,
per il semplice motivo, assai noto a chi conosce i problemi
pratici della laicità, che nell’esperienza concreta vi sono
molti cattolici che possono considerarsi laici, così come vi
sono individui che, pur dichiarandosi non credenti o atei,
non assumono tuttavia comportamenti rispettosi delle
esigenze di laicità: laico può considerarsi chiunque si
ispiri al principio della responsabilità della vita, un
principio di libertà e di autonomia intellettuale per il
quale ciascuno può consapevolmente scegliere il proprio
progetto di vita, in base al valore dell’autodeterminazione.
Non esistono sostanziali differenze tra i due termini
“laicità” e “laicismo”, nonostante la frequenza con la
quale, nella polemica politica, il termine “laicista” viene
usato, in senso spregiativo, per qualificare (negativamente)
chi si propone di ottenere il rispetto delle esigenze di
laicità nella società e si espone così all’accusa di essere
un inguaribile “laicista”.
Se si consultano i più diffusi vocabolari della lingua
italiana, può constatarsi che con il termine di “laicità” si
intende l’«estraneità rispetto alle gerarchie ecclesiastiche
o alle confessioni religiose» e con quello di “laicismo” si
indica l’«atteggiamento che propugna l’indipendenza e
l’autonomia dello Stato nei confronti della Chiesa, sul
piano politico, civile, culturale» (cfr. Devoto, G.-Oli,
G.C., Dizionario della lingua italiana, II ed., Firenze,
1975); non sussistono in realtà differenze tra le due
espressioni e tra le definizioni che se ne danno ed è solo
un astratto artificio retorico quello di chi ritiene che tra
le due espressioni ricorra una diversità sostanziale, che
dovrebbe indurre, nelle intenzioni di chi usa tale
artificio, a ritenere ammissibile il principio di laicità e
meritevole di aspra contestazione chi sostenga il rispetto
dell’esigenza laicista.
Quando si utilizzano aggettivi intesi a qualificare, in
senso positivo o negativo, espressioni alle quali
corrispondono determinati valori, risulta negativa per la
chiarezza del dibattito la tendenza a differenziare concetti
tra i quali non esiste una differenza sostanziale.
Nel linguaggio politico contemporaneo, il laicismo si
contrappone al confessionalismo, al clericalismo e al
fondamentalismo, espressioni con le quali ci si propone di
assegnare alle istituzioni politiche e ai pubblici poteri il
compito di ottenere il rispetto obbligatorio per tutti dei
principi religiosi della Chiesa dominante.
Il laicismo si esprime comunemente in un orientamento
tendenzialmente individualista e razionalista, con un
riferimento tuttavia più ampio e comprensivo rispetto a
quello della tematica religiosa, potendosi esso ritenere una
concezione della cultura e della vita civile basata sulla
tolleranza delle credenze di tutti e sul rifiuto del
dogmatismo in ogni settore della vita sociale. Se una forma
di separazione fra Stati e Chiese è la premessa storica allo
sviluppo del pensiero laico, che è impossibile immaginare in
un contesto politico-religioso caratterizzato dall’identità
di Stati e Chiese, è con l’avvento dello Stato moderno che
si è determinato un mutamento dell’originaria concezione
unitaria del potere politico. Il pensiero di quanti si
professano laici riconosce nella separazione tra la sfera
pubblica della politica e la sfera privata della vita
religiosa una condizione necessaria per la dignità dell’uomo
e per il libero esplicarsi di tutte le sue capacità.
Un elemento essenziale del pensiero laico è stato
individuato nel principio della tolleranza, detto anche
principio del dialogo, a proposito del quale Guido Calogero
riteneva necessario valutare «se, e in che misura, nelle
singole culture, sia presente quel fondamentale principio
della tolleranza, o principio del dialogo, secondo cui il
rispetto, e la volontà di comprensione, per le culture e
filosofie e religioni altrui, è ancora più importante, ai
fini della civile convivenza di tutti, del sincero
convincimento della verità delle idee proposte» (Calogero,
G., Tolleranza e indifferenza, in Quaderno laico, Bari,
1967, 72-73, ivi, 72).
Storicamente il principio di tolleranza nasce come reazione
alle persecuzioni religiose e prepara gradualmente la
separazione della sfera politico-statale dalla sfera
religiosa e l’affermazione della libertà di coscienza e
della libertà di pensiero. Il principio del dialogo si è
venuto sempre più affermando nella filosofia contemporanea
e, nelle più diverse situazioni di cultura e di pensiero,
vale per qualsiasi coscienza rispettosa di sé e delle altre:
vale, o dovrebbe comunque valere, anche per ogni cattolico
consapevole che la convivenza civile comporta pure esigenze
di coesistenza con i non cattolici e i non credenti.
DEMOCRAZIA E PLURALISMO COME GARANZIE DELLA LAICITÀ
Se la ragionevolezza, l’antidogmatismo, la tolleranza e il
dialogo sono tratti essenziali del pensiero laico, le
garanzie della laicità sono soprattutto assicurate dai
sistemi politico-giuridici, come quello entrato in vigore in
Italia dopo il 1948, che prevedono la democrazia e il
pluralismo.
Il principio di laicità non è espressamente contemplato
nelle costituzioni europee diverse da quella francese del
1958, nella Convenzione europea per la tutela dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali approvata a Roma nel
1950, nella Carta dei diritti approvata a Nizza il 15
dicembre del 2000 e nel Trattato di Lisbona del 13 dicembre
2007: testi costituzionali che non prevedono espressamente
il principio di laicità e che tuttavia stabiliscono regole e
principi dai quali si può dedurre la pratica applicazione
del valore della laicità.
Tale principio non è espressamente contemplato nella
Costituzione italiana del 1948; nell’art. 7, co. 1, è
previsto il principio dell’indipendenza (e di sovranità) tra
Stato e Chiesa cattolica, ma occorre essere consapevoli che
il richiamo, nell’art. 7, co. 2, Cost., dei Patti
lateranensi del 1929, con gli elementi di confessionalità
che essi contenevano, ha ostacolato la realizzazione del
principio di laicità nell’ordinamento costituzionale
italiano: ed è nota la pesante influenza che, per
l’evoluzione democratica della società italiana, ha
rappresentato la decisione, approvata dalla maggioranza
dell’assemblea costituente il 25 marzo del 1947, con il voto
determinante del partito comunista italiano, di richiamare
nella costituzione i Patti del Laterano, a proposito dei
quali giustamente si è per molti anni parlato di un’ipoteca
del concordato sulla democrazia nel nostro paese.
Quel voto influenzò profondamente la politica delle
istituzioni repubblicane negli anni successivi all’entrata
in vigore della carta costituzionale. In conformità a quanto
aveva lucidamente previsto in assemblea costituente Piero
Calamandrei, la considerazione dello Stato come braccio
secolare delle istanze provenienti dalla Chiesa cattolica
per un lungo periodo, è stato il “nocciolo” della questione
dei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica.
Se la Carta costituzionale del 1948 non fa alcun riferimento
al principio di laicità, quest’ultimo costituisce tuttavia
un principio che, soprattutto se inteso nella sua accezione
originaria, come separazione della sfera dello Stato da
quella propria delle Chiese, può essere dedotto dal sistema
di democrazia pluralista previsto nella Carta costituzionale
italiana e in molte altre costituzioni europee.
A proposito dei vari significati che può assumere il
concetto di laicità, è noto che, con specifico riferimento
al “caso italiano”, con la sent. 12.4.1989, n. 203, la Corte
costituzionale ha inteso affermare l’esistenza nel nostro
ordinamento della cd. laicità positiva, quella cioè della
«non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma
garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di
religione, in regime di pluralismo confessionale e
culturale»; la Corte costituzionale non ha invece accolto
quella concezione della “laicità-neutralità”, considerata
«l’espressione più propria della laicità» da un giurista di
accentuata sensibilità democratica come Costantino Mortati:
una concezione che, al contrario di quella accolta dai
nostri giudici costituzionali, comporta l’irrilevanza per lo
Stato e per le istituzioni repubblicane dei rapporti
derivanti dalle convinzioni religiose dei suoi cittadini,
nel senso di considerarli fatti privati da affidare alla
coscienza dei credenti. Tale concezione della laicità era
bene espressa dalla formula del settimo principio
fondamentale della Costituzione della Repubblica romana del
1848, nel quale si stabiliva che l’esercizio dei diritti
privati e pubblici dei cittadini non avrebbe dovuto
dipendere dalla loro credenza religiosa. È questa una
concezione che, a distanza di tanti anni da allora, tarda ad
affermarsi nel nostro Paese, come dimostra l’esperienza
della vita parlamentare e del dibattito politico in Italia.
L’ENTRATA IN VIGORE DELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA
Il problema dell’alternativa laicità/confessionalità, che
era stato discusso durante i lavori dell’assemblea
costituente, ha dominato il dibattito sui caratteri dello
Stato italiano dopo l’entrata in vigore della Costituzione
del 1948 e la discussione sul carattere confessionale o
laico dello Stato italiano ha costituito una questione di
primaria importanza nella dottrina e nella giurisprudenza.
Per comprendere e valutare l’influenza che i valori
costituzionali hanno esercitato sull’esperienza giuridica in
materia religiosa nell’Italia democratica degli anni che
seguono l’entrata in vigore della Carta costituzionale del
1948, è necessario tenere presenti le condizioni che hanno
caratterizzato la vita sociale del nostro paese in tale
periodo.
Un primo compito che si poneva con urgenza al legislatore
dell’Italia democratica era quello di una tempestiva riforma
della legislazione in materia ecclesiastica e religiosa,
capace di assicurare: il riconoscimento e la garanzia dei
diritti inviolabili di ogni essere umano sia come singolo
sia nelle formazioni sociali nelle quale si sviluppa la sua
personalità (art. 2 Cost.), il rispetto della eguaglianza
formale e sostanziale dei cittadini, singoli e associati,
indipendentemente dal culto professato (art. 3 Cost.), e del
principio di imparzialità dello Stato in tale materia (art.
97 Cost.), l’attuazione del principio di separazione fra
l’ordine civile e l’ordine religioso (art. 7, co. 1, Cost.),
il riconoscimento delle libertà, individuali e collettive,
di religione e verso la religione (art. 8, 17, 18, 19, 20,
21, 33 e 38 Cost.); una riforma idonea cioè ad inserire
stabilmente nel sistema il riconoscimento dei più
significativi valori contenuti nella Costituzione con
riferimento al fattore religioso.
È stato merito della dottrina più sensibile al nuovo clima
che andava maturando nel Paese, in corrispondenza con i
profondi mutamenti costituzionali sopravvenuti alla caduta
del regime fascista, avere tempestivamente individuato
l’esigenza di affermare un criterio generale di
interpretazione delle norme giuridiche riguardanti il fatto
religioso: quello di saggiare le concezioni teoriche alla
stregua delle garanzie di libertà dell’individuo. Per un
lungo periodo tuttavia non vengono adeguatamente poste in
rilievo le contraddizioni rilevabili nel sistema dopo le
innovazioni previste dal costituente e non vengono
evidenziate le nuove potenzialità offerte dai principi
costituzionali in materia religiosa per una interpretazione
della disciplina legislativa capace di rinnovarne i
contenuti e i metodi e di tenere conto dei valori affermati
nella Carta del 1948.
Dal punto di vista politico e giuridico la conferma della
intangibilità dei Patti stipulati nel 1929 e
l’interpretazione che, con varie sfumature, sostiene il
principio della prevalenza del sistema concordatario e delle
sue singole disposizioni sui principi costituzionali del
1948 determinano la grave conseguenza che per molti anni
l’azione dello Stato viene vincolata all’osservanza di
un’etica confessionale e le minoranze religiose nel nostro
Paese vengono a trovarsi in una condizione di vergognosa
mancanza di libertà.
Si spiega così come rimangano a lungo senza effetto i
ripetuti tentativi con i quali i rappresentanti delle
minoranze religiose in Italia chiedono l’abrogazione della
legislazione sui «culti ammessi» (l. 24.6.1929, n. 1159 e
r.d. 28.2.1930, n. 289) e l’applicazione del principio
contenuto nell’art. 8, co. 3, Cost., che riconosce alle
rappresentanze delle confessioni diverse dalla cattolica il
potere di stipulare intese con lo Stato.
La tendenza a svalutare l’importanza dei principi
costituzionali per una modifica del sistema legislativo e
l’orientamento favorevole a interpretare in senso
restrittivo le garanzie contemplate nella Costituzione e a
negare l’influenza dei valori costituzionali sull’esperienza
giuridica relativa al fenomeno religioso caratterizzano, nei
primi anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, la
politica del Governo, le prevalenti posizioni dottrinali e
giurisprudenziali, la prassi amministrativa e
l’atteggiamento dell’opinione pubblica. Per un lungo
periodo, dopo l’entrata in vigore della Costituzione
repubblicana, gli organi pubblici, le forze politiche e
sociali, la dottrina e la giurisprudenza prevalenti agiscono
come se la Carta costituzionale non esistesse.
L’art. 7 della Costituzione e la cancellazione del 20
settembre dalle festività nazionali (decisa in una seduta
alla Camera del 25.5.1949) sono residui di quell’epoca e di
quella mentalità (cfr. Basso, L., Perché chiedo
l’abrogazione del Concordato, in L’Astrolabio, VIII,
27.9.1970, n. 38, 12).
PROBLEMI PRATICI DELLA LAICITÀ, OGGI IN ITALIA
Oggi sono molti i veti e divieti che la Chiesa cattolica,
sul fondamento della tesi dei cd. valori non negoziabili,
continua a porre alla previsione di nuove disposizioni
normative in tema di procreazione assistita, riconoscimento
giuridico di forme di convivenza diverse dal matrimonio
eterosessuale e testamento biologico.
Una riflessione merita una prassi delle scuole private
cattoliche di ogni ordine e grado di licenziare chi si sposi
con rito civile o chi realizzi una famiglia di fatto.
È necessario essere consapevoli che soltanto una scuola
veramente laica, che rispetti cioè tutte le fedi senza
privilegiarne alcuna, è in grado di operare su un piano di
parità e cioè con piena legittimità costituzionale. Il
pluralismo religioso e culturale può realizzarsi soltanto se
le istituzioni scolastiche sono imparziali di fronte al
fenomeno religioso: l’imparzialità delle istituzioni
scolastiche pubbliche di fronte al fenomeno religioso deve
realizzarsi attraverso la mancata esposizione di simboli
religiosi piuttosto che attraverso l’affissione di una
pluralità di simboli, che non potrebbe in concreto essere
tendenzialmente esaustiva e comunque finirebbe per ledere la
libertà religiosa negativa di coloro che non hanno alcun
credo.
I temi più delicati della questione relativa ai rapporti tra
Stato e Chiese potranno trovare una soluzione soddisfacente
solo quando le autorità della Repubblica italiana e delle
confessioni religiose avranno acquisito la consapevolezza
che nella coscienza sociale sono maturate nuove condizioni,
che consentono di considerare il superamento della “logica
concordataria” come il risultato dell’affermazione di una
società pluralista, nella quale la garanzia della libertà
delle Chiese non va ricercata negli accordi di vertice ma
nella stessa società.
I sostenitori dell’idea di laicità sono oggi impegnati nel
perseguire l’affermazione di principi fondati sul rifiuto
delle scelte di vertice sui problemi che riguardano da
vicino la vita quotidiana di ciascun individuo e il
raggiungimento dei seguenti obiettivi: contestazione di ogni
forma di integralismo e di fondamentalismo; diffusione,
soprattutto attraverso l’attività didattica svolta dai
docenti delle scuole pubbliche, di un’adeguata valutazione
di quali importanti novità derivino dall’avvento delle
società multiculturali, interculturali, multireligiose e
multietniche; impegno per la conoscenza della cultura dello
Stato di diritto e delle garanzie costituzionali, che non si
identificano con il tipo di famiglia fondata sul matrimonio
previsto nell’art. 29 Cost. e tuttavia sono meritevoli di
riconoscimento, ai sensi dell’art. 2 Cost., che riconosce i
diritti degli individui sia come singoli sia nelle
formazioni sociali nelle quali si sviluppa la loro
personalità, e dell’art. 29, co. 1, Cost. riferibile anche
alle famiglie «naturali», non fondate sul matrimonio;
affermazione di libertà di scelte responsabili in ogni fase
della vita, e dunque anche delle scelte riguardanti i
trattamenti sanitari ai quali sottoporsi e del rifiuto di
trattamenti sanitari che si esprimano attraverso forme di
accanimenti terapeutici nei confronti delle persone;
gestione laica del sistema sanitario e del sistema nazionale
di istruzione; abolizione dell’insegnamento delle religioni
in ogni ordine di scuola pubblica; previsione di un’unica
disposizione costituzionale che, a proposito dei rapporti
tra Stato e Chiese, stabilisca il diritto delle confessioni
religiose, tutte uguali di fronte alla legge, di stipulare
intese con lo Stato per disciplinare aspetti pratici dei
diritti riconosciuti dalla carta costituzionale.
Una conclusiva valutazione del principio di laicità dello
Stato italiano induce a ritenere che sia sempre più
condivisa la necessità di perseguire con tenacia obiettivi
indispensabili per la realizzazione di una società
democratica nella quale, in attuazione dei valori di
autodeterminazione e della pari e piena dignità sociale di
tutti gli essere umani, venga rispettato il diritto di
ciascuno di essere se stesso, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali nelle quali si svolge la sua personalità.
Marfa
FONTI NORMATIVE |
Cost., artt. 1, 2, 3, 7, 8, 17, 18, 19, 21, 29, 33,
97; l. 24.6.1929, n. 1159 e r.d. 28.2.1930, n. 289;
l. 25.3.1985, n. 121; l. 11.8.1984, n. 449. |
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