062 ..:: 03.10.2018
::: Nella foto, l'insegnante Barbara
Carpentieri.
TRINITAPOLI ..:: Nel 1995 lo psicologo
statunitense Daniel Goleman pubblicò il libro “Emotive
Intelligence” in cui definiva proprio questo particolare
tipo di intelligenza come “l’insieme di competenze
fondamentali per sapere affrontare bene la vita:
autocontrollo, entusiasmo, perseveranza e capacità di
automotivarsi”, ed introduceva contestualmente il concetto
di “consapevolezza”, dei propri processi di pensiero e delle
proprie emozioni, come capacità di identificarle, dando loro
un nome.
Per Goleman si trattava della “capacità di motivare se
stessi, persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le
frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la
gratificazione, di modulare i propri stati d’animo, evitando
che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere
empatici e di sperare”.
L’intelligenza emotiva, pertanto, punta su due importanti
competenze:
- una competenza personale data dalla consapevolezza
e dalla padronanza di sé nonché dalla motivazione;
- una competenza sociale che è determinata dal modo
in cui gestiamo le relazioni con gli altri e la cui base è
costituita dall'empatia e dalle abilità sociali, intese come
capacità di saper guidare ad arte le emozioni di un’altra
persona e trarre vantaggio dal fatto che gli stati d’animo
si influenzino reciprocamente.
Il possesso o lo sviluppo di queste competenze determina la
fiducia in se stessi, spinge i soggetti a misurarsi con
sfide sempre diverse e complesse, ad uscire dalla propria
“zona di comfort”, trovando l’energia per affrontare il
nuovo. Queste persone si caratterizzano per essere ferme
sulle loro posizioni nonostante il giudizio o le pressioni
degli altri e per questo sono disposte anche a farsi
portavoce di cause ed opinioni altrui, ritenute valide, non
temendo le conseguenze delle loro prese di posizione.
Al massimo livello di questa competenza si collocano coloro
che sono disposti ad assumersi dei rischi pur di portare
avanti una causa o di raggiungere un obiettivo, non
facendosi scoraggiare dalle difficoltà.
La concentrazione, la motivazione, la curiosità, la
creatività, la flessibilità cognitiva e l’elaborazione delle
informazioni risultano fortemente legate alla gestione delle
emozioni: è dimostrato, infatti, che i sentimenti positivi
accompagnati ad un giusto livello di stress, come quello
garantito da una situazione che si presenta sfidante ma
risolvibile, conducono gli individui ad essere maggiormente
performanti.
L’apprendimento prima, e le stesse prestazioni lavorative
poi, risultano correlate al possesso delle “soft skills”,
poiché le emozioni, quando non sono correttamente gestite,
prendono il sopravvento sulle aree del cervello dedite al
ragionamento, con l’effetto di paralizzarne l’attività.
Oggigiorno, laddove le nuove generazioni sono sempre più
legate ai beni materiali e la tecnologia spinge verso
relazioni virtuali che si rivelano essere solo fonte di
isolamento, proprio i rapporti umani sono diventati
qualitativamente meno significativi. In tale contesto la
stessa famiglia non sempre riesce a fornire il giusto
supporto, perché manca di autorevolezza e credibilità,
elementi che dovrebbero accompagnare i ragazzi verso l’età
adulta. Si viene a creare, così, un vuoto emozionale ma
anche educativo ed affettivo, ed a farne le spese sono i
giovani, che si perdono, a volte nel silenzio, altre volte
manifestando disagi ingestibili a casa ed a scuola, tra i
quali si annoverano comportamenti aggressivi, atti di
bullismo, dipendenze od ancora forme di depressione e
disturbi alimentari.
Spesso attratti dagli eccessi, risultano insofferenti alle
regole, scarsamente motivati, poco inclini al sacrificio ed
alla perseveranza, privi di un progetto futuro responsabile,
proiettati in un tempo percepito, piuttosto, come un
presente infinito. Tali disagi altro non sono che il
risultato di una incapacità di identificare, gestire e
modulare le proprie emozioni, comportamenti disfunzionali
riconducibili a lacune di competenze emozionali che
impediscono loro di sfruttare in modo appropriato le
capacità cognitive, affettive e relazionali.
E’ da queste basi che parte l’appello di Goleman alla
necessità di garantire una “vaccinazione psicologica” contro
il disagio.
Nella letteratura psicologica, il termine emozione è usato
per definire un evento multisistemico che interessa il piano
dell’elaborazione cognitiva e dei resoconti verbali
dell’esperienza soggettiva, il piano dei comportamenti
motori e quello delle risposte fisiologiche (D’Urso e
Trentin, 1998).
L’intelligenza emotiva, il concetto impiegato da Goleman, si
riferisce alla “capacità di riconoscere i nostri sentimenti
e quelli degli altri, di motivare noi stessi, e di gestire
positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente,
quanto nelle relazioni sociali”.
Sono abilità complementari ma differenti dall’intelligenza,
ossia da quelle capacità meramente cognitive rilevate dal
Quoziente Intellettivo, che rappresenta l'indice generale
delle abilità cognitive possedute dal soggetto.
Ed in tale ottica diventa essenziale nella Scuola tener
presente le ricerche in ambito neurofisiologico circa
l’empatia ed il rispecchiamento emotivo, con particolare
riferimento agli studi di Rizzolati sui neuroni a specchio
che spiegano fisiologicamente la capacità dell'uomo di porsi
in relazione con altri individui, secondo un meccanismo
biologico e naturale, che ci fa interagire, più o meno con
gli altri.
Sulla base di tali ricerche emerge la necessità di seguire
la crescita emotiva dei giovani, per aiutarli a riconoscere
i propri disagi emotivi, a contenere le proprie emozioni,
per acquisire sicurezza ed autostima, tanto utili
nell’affrontare la vita quotidiana e le sue insidie.
E quali migliori occasioni per operare forme di “Early
Intervention”, se non attraverso attività di tipo ludico,
esperienziale, cooperativo, basate sui risultati ormai
inconfutabili ottenuti dalla “gamification”, ovvero il gioco
a scopo didattico, per veicolare contenuti, favorire
apprendimenti, creare un “ben-essere” scolastico mirato ad
una crescita armonica mente/corpo, od ancora attraverso la
“pratica del dialogo”, per citare Ekkehard Martens, con
riferimento alla Philosophy for Children di Lipman.
Del resto il significato intrinseco del termine “educare” è
quello di “tirar fuori”, portare alla luce, dunque, un mondo
interiore di bisogni, di valori, di conoscenze, di emozioni,
per porre le basi per la formazione di adulti equilibrati e
resilienti, capaci di affrontare, reagire e relazionarsi in
modo adeguato e positivo.
Barbara Carpentieri
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