266 ..:: 21.06.2022
..:: Nella foto, un frammento di ceramica
medievale da Salapia [1].
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TRINITAPOLI ..:: Nel 1974 nacque la sede
dell’ARCHEOCLUB D’ITALIA a Trinitapoli! La sua attività fu
contrassegnata nei primi anni da grande entusiasmo. Questo a
motivo delle perlustrazioni effettuate nel circondario
trinitapolese (cui i soci si dedicarono con molta
abnegazione e qualche rischio, diciamo la verità) ed anche
per i ritrovamenti fortuiti di materiale vascolare. Ci si
rese subito conto della rilevanza culturale che avevano
alcune nostre contrade, e con il conforto di studiosi del
settore fu più facile capire, vedere, imparare e conoscere
il nostro retroterra, in fatto di archeologia. Mentre
aumentava la quantità di materiale recuperato, costituito il
più delle volte da frammenti vascolari e lapidei, più
raramente da pezzi interi, allocati in quello che sarebbe
divenuto poi il “DEPOSITO ARCHEOLOGICO BENI CULTURALI”, vero
orgoglio del popolo dell’Archeoclub, si cercava di cooptare
un numero crescente di specialisti perché soddisfacessero la
curiosità di chi voleva approfondire la conoscenza ed
appurare il valore culturale di quei recuperi. Infatti molti
“come” e “perché” furono esauditi. Fu un’osmosi frenetica
che, se per un verso aiutò a far crescere la consapevolezza
che tanto si doveva ancora fare per la salvaguardia del
nostro territorio (per tutto quello che celava ancora nelle
sue viscere), per l’altro contribuì al radicarsi dei valori
di tutela e valorizzazione propugnati dall’Archeoclub.
Una delle circostanze fortunate in cui s’incocciò, fu la
conoscenza della dr.ssa Maria Vittoria Fontana. La gentile
studiosa venne qui tra noi negli anni Ottanta, ospite
dell’Associazione, e pose sotto la sua lente d’ingrandimento
i frammenti medievali di Monte di Salpi. “Cosucce”
che raramente avevano attirato l’attenzione di coloro che
visitavano l’allora GALLERIA DEI RICORDI; “cosucce” che
rivelarono inaspettatamente sfaccettature interessanti e
ignote dell’antica Salpi: l’antica realtà a noi tanto vicina
ed alla quale, per molti versi, siamo collegati.
Questo studio, è quanto lei ci lasciò. Oggi viene divulgato
con immenso piacere e con la viva speranza che serva a
rinfocolare l’entusiasmo dei trinitapolesi, un tantino
scemato negli ultimi tempi, nei confronti del proprio
passato.
«Dai saggi di scavo nel settore nord-occidentale di
Salapia, condotti dal prof. A. Geniola
nell’aprile-maggio 1972 (Geniola 1973), sono stati
recuperati numerosi frammenti di ceramica invetriata di età
medievale. Questi sono distribuiti negli strati VI e V e,
pur se in quantità minori e quindi sono caratterizzanti lo
strato, anche nel IV. La ceramica con invetriatura monocroma
al piombo è attestata nei tre strati suddetti: è da notare
una netta prevalenza della cromia “marrone” su quella
“verdastra” nel VI strato, e una discreta percentuale della
monocromia “neo-violacea” nel V, pur se accompagnata ancora
da quella “marrone” e “verdastra”; nel IV strato la
percentuale di esemplari ricoperti da vetrina monocroma è
minima. La ceramica con decorazione policroma, sia
invetriata sia smaltata, è presente anch’essa negli strati
VI-IV, ma nel V sembra caratterizzarne lo strato. Molti sono
i frammenti inventariati [2] ma
solo lo zelo dei membri dell’Archeoclub di Trinitapoli ha
consentito la conservazione di un deposito di un centinaio
di pezzi fino ad oggi non ancora esaminati
[3]. Di questi ultimi 98 pezzi
mi è stato affidato lo studio e, ripromettendomi un saggio
sistematico sull’intero lotto in base a una classificazione
tipologica delle forme e delle decorazioni, in queste pagine
mi limito a una breve presentazione di tale ceramica, con il
fine, soprattutto, di proporre una sua collocazione
cronologica e di evidenziarne i possibili dati riguardo
l’area di produzione. Le due principali tecniche di
copertura invetriata, quella piombifera e quella stannifera,
sono impiegate entrambe e, tralasciando otto frammenti
attribuibili senz’altro ad età post-medievale, è possibile
suddividere i rimanenti novanta fra 38 smaltati, 24
invetriati al piombo, 21 smaltati e poi ricoperti da uno
strato più o meno sottile di invetriatura piombifera e 7 sui
quali è stato probabilmente applicato questo medesimo
processo. Tale classificazione di vetrine è frutto di una
distribuzione operata in base a un esame solo visivo e
tattile, ben lungi, dunque, da una classificazione
definitiva suffragata dall’impiego delle analisi più
opportune. Lo stato di conservazione dei frammenti è
discreto; sono frequenti le iridescenze, ma poche le lacune
dello smalto o dell’invetriatura; bassa, inoltre, è la
percentuale dei casi in cui lo smalto è consunto.
Il colore dell’impasto al taglio è pressoché sempre
differente dalle tonalità che assume in superficie –
fenomeno attribuibile alla cottura -: tranne infatti i pochi
casi in cui la pasta è o chiara o rossa e al taglio e in
superficie, generalmente si osserva un colore rosato al
taglio e chiaro in superficie. Gli esemplari appaiono tutti
privi di ingubbiatura. La decorazione è sempre dipinta, ad
eccezione di 7 frammenti ove appare anche quella incisa. I
motivi sono soprattutto geometrici e vegetali stilizzati, ma
non mancano quelli vegetali naturalistici; sono inoltre da
segnalare due frammenti con motivo zoomorfo: un uccello e un
pesce dipinti in bruno, verde e rosso su fondo chiaro
smaltato.
Vi sono poche serie cromatiche – ad eccezione delle
monocrome, sempre al piombo - distintive dell’invetriatura
piombifera o di quella stannifera: la maggior parte,
infatti, è riscontrabile su entrambe le classi. La
distribuzione morfologica è in netto favore delle forme
aperte: 79 (soprattutto coppe, con una minima presenza di
piatti); 10 sono frammenti appartenenti a forme chiuse; va
inoltre segnalata una lucerna, unico pezzo intero del
deposito. Come è possibile dedurre dai dati forniti da
questo quadro, il rosso, usato soprattutto sullo smalto, ma
spesso ricoperto poi da vetrina al piombo, è, dopo il bruno,
il colore più frequente.
Questa circostanza ci fornisce un’ulteriore conferma
[4] della massiccia presenza
del rosso in Puglia. Caratteristico dei reperti di tutta
l’Italia meridionale: Molise, Campania, Basilicata, Calabria
e Sicilia (cfr. Fontana 1984: 149-150), in Puglia esso è
rintracciato nelle quantità in proporzioni maggiori;
inoltre, a differenza dei reperti d’area tirrenica,
rivestiti quasi sempre con vetrina piombifera o
alcalino-piombifera (Cannoni 1984), a Salapia sembra
notevole l’uso dello smalto, rivestito o meno da una
pellicola di piombo [5].
Tipica dell’area lucano-pugliese è anche la forma delle
coppe su cui compare il rosso. Esse presentano parete con
alta carenatura e orlo tagliato in obliquo, spesso
aggettante all’esterno, su piede sempre ad anello, piuttosto
basso. Non è probabilmente un caso che siano dipinti in solo
bruno e verde su fondo bianco smaltato due frammenti di
coppe con parete svasata e bordo diritto: scelta cromatica e
tipo morfologico comuni nell’area campana, a Napoli
soprattutto (Ventrone Vassallo 1984: 223-240); sono ancora
in bruno e verde su smalto, con ornato non dissimile da
quello di esemplari campani, due fondi coppe con piede ad
anello.
La decorazione “sgraffiata” o “graffiata”, rintracciabile su
5 frammenti di Salapia ricoperti da vetrina
piombifera, fu adoperata dai ceramisti bizantini e
probabilmente ripresa dai decoratori medievali e senz’altro
rinascimentali. Ha un’ampia area di diffusione su tutta la
costa adriatica, dalla Padania (per es. Moschetti 1931) alla
Puglia (Patitucci Uggeri 1977), e fin nell’est europeo (Japharidze
1956: tav. LIV).
Di origine senz’altro “orientale”, la tecnica dello
“sgraffiato” è stata largamente utilizzata nell’Islam,
notevoli esempi ne sono alcune ceramiche persiane e siriane
dal X al XIII secolo (Lane 1958: figg. 30-35). L’Islam,
naturalmente, ha esercitato la sua influenza, per tecniche e
motivi decorativi, un po’ su tutta la ceramica invetriata
dell’Italia meridionale, sia indirettamente, dal Maghreb con
un tramite forse siciliano – a Salapia un esemplare
di ispirazione maghrebina (Ferron, Pinard 1955: tav. XII.
20, 40; Marçais 1913: tav. XI) e per forma e per decorazione
è un frammento di coppa con alta e leggera carenatura e orlo
tagliato in obliquo leggermente sporgente all’esterno con
decorazione dipinta in bruno, verde e rosso su fondo chiaro
smaltato -, sia direttamente, a causa degli stanziamenti di
colonie musulmane che sembrano storicamente accertate in più
siti della Penisola, in particolare si fa riferimento alla
colonia lucerina trasferitasi dalla Sicilia per volontà di
Federico II – un esemplare di Salapia ha strette
connessioni con i reperti del castello di Lucera (Whitehouse
1982) ma anche con taluni di Brindisi (Patitucci Uggeri
1979: tav. LXXXII a-c) è un frammento di coppa con parete
ricurva e bordo dritto dipinto in bruno e azzurro su fondo
chiaro smaltato.
Molto bella è la coppa frammentaria di Salapia con
bordo leggermente espanso, ampia parete svasata e piede ad
anello dipinta in bruno, azzurro e verde su smalto bianco.
L’azzurro, tipico colore della fascia costiera adriatica
(Morgan 1942; Patitucci Uggerri 1979; Buerger 1974), è stato
rinvenuto in notevoli quantità anche a Napoli (Ventrone
Vassallo 1984: 261-268, 314-317). È poi da segnalare, a
Salapia, la presenza di due frammenti di forme aperte
con decorazione dipinta su fondo chiaro e, precisamente,
verde. Tale circostanza si verifica raramente: in area
pugliese si ricordano esempi lucerini su fondo azzurro e in
Campania, a Napoli, un esempio proprio su fondo verde e uno
su fondo marrone (Fontana 1984: 157-159).
Per ciò che concerne le forme della ceramica di Salapia,
s’è già accennato alla presenza quasi esclusiva di forme
aperte, per la maggior parte coppe, ma anche qualche piatto,
nonché tre esemplari di forma particolare.
Si tratta di contenitori con profondo e sporgente cavetto
centrale, ampia tesa e piede ad anello sulla cui funzione si
è più volte discusso (Megaw 1964; Scerrato 1984: 38).
Pare che abbiano un’area di diffusione piuttosto ampia,
sempre in Italia meridionale, con esempi grezzi, smaltati e
invetriati al piombo [6]; a
Salapia due pezzi sono dipinti in bruno, verde e rosso e
uno in bruno e verde sempre su fondo chiaro smaltato, ma la
frammentarietà di quest’ultimo oggetto non consente di
escludere un’eventuale presenza del rosso o di altro colore
lungo la parete. Non casuale, inoltre, sembrerebbe l’alta
percentuale di frammenti sui quali compare il colore giallo:
su 10 frammenti di forme chiuse 3 contengono il giallo,
inoltre su 6 pezzi dipinti in bruno, verde e giallo su fondo
chiaro, 3 appartengono a forme chiuse.
L’unica lucerna della raccolta è, s’è detto, intera. Con
serbatoio chiuso forato da opercoli, beccuccio orizzontale e
piccola ansa a nastro verticale: essa trova i confronti più
puntuali nel Maghreb (Golvin 1965 ed è tipica dell’area
lucano-pugliese [7]; è
ricoperta da vetrina gialla. In conclusione, i reperti
invetriati medievali di Salapia esaminati sono per la
maggior parte di produzione locale, si segnalano poche
importazioni o influenze dall’area lucerina – che d’altro
canto è pressoché la medesima – o brindisina, da quella
campana – Napoli soprattutto – e, forse, molisana.
Essi si collocano, per analogia con reperti di altri siti,
fra la seconda metà del XIII e il XIV secolo. Una breve
parentesi è da aprire per gli esemplari che recano una
decorazione incisa, di fabbricazione bizantina o locale: per
essi si può indicare una datazione alla seconda metà del
XIII secolo».
Matteo de Musso
..::
NOTE:
[1] Mi è cosa grata
ringraziare il prof. F. Biancofiore che mi ha
segnalato la raccolta, il prof. A. Geniola che mi ha
permesso di studiare i frammenti provenienti dagli
scavi da lui diretti e l’ins. Matteo de Musso,
Presidente dell’Archeoclub di Trinitapoli, che con
la sua cortesia e la sua ospitalità mi ha consentito
la ricognizione del materiale di cui questa nota
costituisce un breve rapporto preliminare.
[2] Un pannello
conservato nei locali dell’Archeoclub di Trinitapoli
illustra la sequenza stratigrafica di tali reperti
in connessione con la struttura D (Geniola 1972);
negli stessi locali, inoltre, sono conservati anche
15 esemplari inventariati la cui forma è stata
ricostruita (cfr. Geniola 1972).
[3] A questi si
aggiungono i due frammenti donati dall’ins. de Musso
alla collezione dell’Archeoclub, frutto di un suo
ritrovamento giovanile sul Monte di Salpi. Si tratta
di un fondo di coppa con uccellino dipinto in bruno
e azzurro su smalto bianco e un interessante
frammento di parete di coppa in pasta chiara non
invetriata con decorazione incisa e stampata: con
ogni probabilità un’importazione islamica. Il
rinvenimento di esemplari islamici in area
meridionale – nell’Italia centro-settentrionale si
ricordano i bacini di decorazione architettonica
(per es. Arte Islamica 1983) – non è senz’altro
frequente, tuttavia si segnala la “mappa” di tali
ritrovamenti descritti in Scerrato 1984: 44-48.
[4] Già Bradford (1950:
94) e Whitehouse (1966: 174) segnalavano a Salpi la
presenza di materiale invetriato dipinto in bruno,
verde e rosso. Si cfr., inoltre, i risultati
ottenuti dalle ricerche archeologiche a Bari
(Salvatore 1982: 87 e sgg. con relative figg.) e a
Brindisi (Patitucci Uggeri 1977), per esempio.
[5] A proposito della
problematica sull’uso del rosso su smalto o sotto
invetriatura al piombo si cfr. Whitehouse 1980: 88 e
Fontana 1984: 150.
[6] Una “mappa”, con
relativa bibliografia, è rintracciabile in Ventrone
Vassallo 1984: 195-196.
[7] Per una “mappa”
della sua diffusione si veda Fontana 1984: 68, nota
8.
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