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Un Ballo in Maschera di Giuseppe Verdi: Conosciamo e analizziamo il ruolo di Amelia.

041..:: 16.11.2013

 

Nella foto, la soprano, Luciana Distante.

Proseguiamo questo «percorso musicale» a cura di Luciana Distante, soprano. E' una iniziativa dell'Assodolab riservata a coloro che amano la "buona musica" e gli "autori del passato" che ci accompagnerà per tutto l'anno 2013 su queste pagine web del nostro Supplemento di informazione on-line www.lasestaprovinciapugliese.it

La prossima uscita sarà il prossimo sabato.

La Redazione

Prof. Agostino Del Buono

 

 

Regione Puglia, LECCE..:: Un ballo in maschera (1859) è un’opera di Giuseppe Verdi su libretto di Antonio Somma, a sua volta tratto dal libretto di Eugène Scribe per Daniel Auber “Gustave III, ou Le Bal masqué” (1833).
La prima ebbe luogo il 17 febbraio 1859 al Teatro Apollo di Roma. Inizialmente l’opera doveva essere rappresentata al Teatro San Carlo di Napoli e si doveva intitolare Una vendetta in domino, ma il soggetto non fu accettato dalla censuraborbonica. Di conseguenza Verdi introdusse alcune modifiche, spostando in particolare l’azione dalla Svezia a Boston e trasformando il re in un governatore.
L’azione si svolge alla fine del XVII secolo. Nel primo atto, il Conte Riccardo è il saggio e illuminato governatore della colonia inglese di Boston, sotto il regno di Carlo II. Un piccolo gruppo di congiurati, guidati da Samuel e Tom, sta tramando contro di lui. Riccardo ama – segretamente corrisposto – Amelia, moglie del creolo Renato, suo segretario ed amico carissimo. Un giudice chiede a Riccardo di firmare l’atto di condanna all’esilio della maga Ulrica, ma il governatore per burlarsi di lei preferisce conoscerla di persona. Si reca quindi travestito da pescatore nel suo antro, accompagnato da Oscar - il giovane paggio - e da un gruppo di amici, chiedendole di predirgli il futuro. La profezia è infausta: tra breve egli sarà ucciso da un amico che sarà anche la prima persona che gli stringerà la mano, cosa che tra i presenti nessuna osa fare. L’arrivo di Renato e la sua amichevole stretta di mano sembrano tuttavia fugare ogni timore.
Nel frattempo anche Amelia, divisa fra l’amore e il dovere coniugale, si reca nell’abituro della maga e, senza sapere che Riccardo la sta ascoltando, le chiede una pozione che le renda la pace perduta. Ulrica le consiglia di recarsi a mezzanotte in un campo malfamato nei dintorni di un cimitero, dove potrà raccogliere un’erba magica.
Il secondo atto si svolge di notte. Riccardo raggiunge Amelia nel campo e le strappa la confessione del suo amore. La passione sta per travolgere i due innamorati, quando di lontano si vede sopraggiungere Renato, sulle tracce dei congiurati che stanno per tendere un agguato al Conte. Renato non riconosce la moglie, che si è coperta il volto con un velo, ed esorta l’amico a fuggire. Riccardo accetta dopo aver ottenuto da Renato la solenne promessa che riaccompagnerà la donna velata fino alle porte della città, senza mai rivolgerle la parola.
Sopraggiungono i congiurati che, delusi nel trovare il segretario in luogo del governatore, vogliono almeno scoprire il volto della misteriosa donna. Renato si oppone, mettendo la mano alla spada, e Amelia, frapponendosi per evitare il duello, lascia cadere il velo. La vista della moglie lascia Renato di sasso e desta l’ilarità nei congiurati, che scherzano pesantemente sulla situazione. Renato decide di convocarli nella sua casa per allearsi con loro. Quindi riconduce Amelia in città.
Nel terzo atto, siamo al giorno seguente. Renato è deciso ad uccidere Amelia e lei gli chiede per pietà materna di concederle solo di salutare il suo amato figlio. Renato glielo accorda, ma nel suo fremente animo sopraggiunge il pensiero che non è il sangue della sua sposa a dover scorrere. Sopraggiungono Samuel e Tom, e Renato si accorda con loro per uccidere il Conte. Obbliga quindi Amelia ad estrarre da un’urna il nome dell’assassino, e la donna, sconvolta, estrae proprio quello del marito. Giunge Oscar recando l’invito ad un ballo in maschera che si terrà nel palazzo del Conte. Riccardo, ormai deciso a rinunciare al suo amore impossibile, firma l’ordine di rimpatrio in Inghilterra per Amelia e Renato, prima di recarsi alla festa. Con astuzia Renato riesce a farsi descrivere da Oscar il costume del governatore e, proprio mentre Amelia sta scambiando l’ultimo addio con l’uomo amato scongiurandolo di fuggire via, Renato gli si avvicina mascherato e lo trafigge con un pugnale. Riccardo muore fra la disperazione dei suoi sudditi, dopo aver ribadito di fronte a tutti l’innocenza di Amelia e perdonato magnanimamente il suo assassino.
Il linguaggio dell’opera è ancora tradizionale, ma depurato: le due sortite di Riccardo (La rivedrà nell’estasi) e Renato (Alla vita che t’arride) riuniscono ciascuna in una sola struttura la doppia funzione di cantabile e cabaletta; l’aria di Amelia “Morrò ma prima in grazia” comincia e finisce in minore (prima di allora mai accaduto in opera italiana).
Verdi tende a eliminare melismi e ornamentazioni, riducendo l’agilità e avvicinando, in ordine alle proprie concezioni del teatro, la parola cantata a quella parlata. Inoltre i tre personaggi principali sono ispezionati psicologicamente e necessitano di cantanti espressivi, duttili e recitanti.
Il modello del soprano che canta la parte di Amelia è la celeberrima Marie Cornélie Falcon, vedette del Grand-Opéra parigino, eponima di un tipo sopranile (alla “Falcon” appunto) con centri sicuri e robusti ma capace di svettare in zone elevate, fino al Do5; di fatto la Falcon era un mezzosoprano chiamata talora per spettacolarità a registri sopranili. I tecnici della vocalità dicono che con Amelia Verdi passa definitivamente dal soprano drammatico d’agilità (Abigaille, Eleonora) al soprano drammatico “di forza” (come poi Elisabetta nel Don Carlo). Amelia alterna perciò momenti quasi da mezzosoprano a pure melodie sopranili: nel primo caso in Ma dell'arido stelo, il terzetto Odi tu come fremono cupi (atto II), l’aria Morrò, ma prima in grazia (atto III); il duetto d’amore del II atto e la scena della congiura.
Dal punto di vista musicale, l’opera è estremamente generosa: quasi venticinque numeri musicali si susseguono serratamente, in un sapiente gioco drammaturgico. Ogni personaggio dell’opera, dai congiurati al paggio Oscar, dal marinaio Silvano alla profetessa Ulrica, ha il suo momento, ma nulla è lasciato al caso o nel caos. Ciò che colpisce è anche il rapido passaggio da momenti drammatici a situazioni comiche (e viceversa): il concitato terzetto tra Amelia, Ulrica e Riccardo (“Della città all’occaso”), in cui la donna prega la maga di liberarla dall’amore adulterino che minaccia il suo matrimonio, cede il posto alla gaia canzone del Conte che chiede informazioni sul suo futuro (“Di’ tu se fedele”).
Possiamo affermare che il ruolo di Amalia è impegnativo perché, per trovare l’essenza di questo personaggio, bisogna evitare la monocromia e sapere rendere tutte le sfumature, tutti i livelli della sua complessità. Amelia si trova in una situazione molto difficile: è sposata, con un figlio ma innamorata di un altro uomo, divisa tra due sentimenti, perché da un lato desidera proteggere la propria famiglia e non vuole violare il vincolo del suo matrimonio, dall’altro è sopraffatta dall’amore.
È soprattutto nel secondo atto che l'amore assume proporzioni più vaste ed espressione più possente. "Il preludio agitato, drammaticamente nervoso, pieno di accentuazioni vibrate, di acciaccature aspre, di dissonanze sinistre, di ritmi violenti, di arresti paurosi, descrive, senza perdersi in meschine materialità imitative, l'orrore del campo di morte; ma più di tutto l'intera agitazione della donna che, incapace di dominare il proprio cuore, ricorre alla magia e viene a cercare in un'erba fatale l'oblio della passione che la turba. Invano la preghiera si leva, prima dall'orchestra nel preludio con la nota frase, poi dalla voce stessa di Amelia con altre frasi imploranti (poichè Amelia ricorre, sì, all'erba dal magico potere, ma soprattutto si raccomanda a Dio); la voce della passione domina tutto".
Amelia, quindi, combatte intensamente con i sentimenti che nutre per Riccardo. La tristezza prevale eppure, tra un’avversità e l’altra, ci sono momenti da commedia, paradossali come quando lei viene affidata da Riccardo proprio a suo marito costretta a celare il proprio viso dietro un velo che poi lascia cadere, per difendere Renato dai congiurati. Questi momenti sono in netto contrasto con alcuni passaggi drammatici come la cadenza finale della patetica aria di Amelia del terzo atto "Morro ma prima in grazia".
 

 

Luciana Distante

 

 

 

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