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Il Don Carlo di Giuseppe Verdi: Conosciamo e analizziamo il ruolo di Elisabetta de Valois.

017..:: 01.06.2013

 

Nella foto, la soprano, Luciana Distante.

Proseguiamo questo «percorso musicale» a cura di Luciana Distante, soprano. E' una iniziativa dell'Assodolab riservata a coloro che amano la "buona musica" e gli "autori del passato" che ci accompagnerà per tutto l'anno 2013 su queste pagine web del nostro Supplemento di informazione on-line www.lasestaprovinciapugliese.it

La prossima uscita sarà il prossimo sabato.

La Redazione

Prof. Agostino Del Buono

 

 

Regione Puglia, LECCE..:: Don Carlo (1867, originalmente, Don Carlos) è un'opera di Giuseppe Verdi su libretto di Joseph Méry e Camille du Locle tratto dall'omonima tragedia di Friedrich Schiller. La prima rappresentazione, in cinque atti e in lingua francese, ebbe luogo l'11 marzo 1867 al Théâtre de l'Académie Impériale de Musique di Parigi. In seguito l'opera fu tradotta in italiano da Achille de Lauzières e rimaneggiata a più riprese. Nel 1872, infatti, Verdi operò alcune modifiche minori con la collaborazione di Antonio Ghislanzoni. La revisione più importante fu realizzata dopo oltre 10 anni con l'eliminazione dell'originario atto primo.
Don Carlo segue di sei anni La forza del destino (1862) e precede di quattro anni Aida (1871): il maggiore spazio di tempo che Verdi si concede si rispecchia in un maggiore grado di elaborazione dei prodotti finali, sia nei fattori strettamente testuali (il libretto) che più propriamente musicali (in particolare, il maggiore respiro concesso alla orchestrazione).La stesura fu abbastanza lunga e impegnò Verdi per oltre un anno. Ne deriverà un mastodontico Grand Opéra, corredato di balletti e grandiose scene corali definibili quasi "di massa" in armonia con le consuetudini dell'opulento genere operistico francese.
Le tematiche chiave sono tre:
- il contrasto genitore/figlio, che si rivela tramite il duro scontro fra Filippo II di Spagna, il padre, e Don Carlos sul piano intimo e politico;
- il contrasto fra due concezioni politiche diverse, sintetizzato dal confronto fra il Marchese di Posa, propenso ad una politica liberale fondata sulle autonomie, e Filippo II incarnazione della monarchia assoluta;
- il conflitto tra Stato e Chiesa, rappresentato dalla lotta persa in partenza di Filippo II, che non riuscirà ad imporsi al potere temporale della Chiesa, con il Grande Inquisitore.
In quest'opera Verdi affina la ricerca psicologica avviata con le opere della "trilogia popolare": Filippo II viene presentato come una personalità negativa, che nel terzo atto (versione in quattro atti) rivela tuttavia un lato intimamente patetico. Tra gli innamorati verdiani, Don Carlo è quello dal carattere più romanticamente impulsivo, al limite dell'isteria. Elisabetta, l'amata, destinata a diventare la sua matrigna, è una figura femminile rassegnata all'infelicità. Le figure di Rodrigo, Marchese di Posa, e della Principessa Eboli, costituiscono il motore della vicenda. Su tutti incombe la possente figura del Grande Inquisitore, arbitro dei destini di tutti, alla cui volontà lo stesso Filippo dovrà piegarsi.
Elisabetta (o Isabella) di Valois, moglie dell'imperatore Filippo II di Spagna fu veramente moglie dell'imperatore di Spagna, figlio di Carlo V. Nell'opera verdiana, Elisabetta è una umanissima donna, innamorata di Don Carlo, Principe delle Asturie (Valladolid, 8 luglio 1545 – Madrid, 24 luglio 1568) figlio proprio di Filippo II e di Maria Emanuela d'Aviz, nonché, finché non nascesse un degno sostituto, erede al trono di Spagna. Verdi fa dell'amore disperato fra la regina ed il figlio del marito il fulcro attraverso il quale passa l'infelicità della giovane donna, prima promessa al figlio e poi, forzatamente, per motivi politici, sposa del padre. Il conflitto fra amore e dovere permea l'opera intera e rende "melodrammatico", nell'accezione più positiva del termine, il personaggio femminile. Elisabetta è donna forte, che prima cede alla ragion di stato e poi al dovere di madre acquisita, soffocando in se stessa e nel proprio ruolo di regina un amore disperato verso il coetaneo Carlo. Ma se, nell'opera, Carlo è pur sempre soggetto al padre, di salute malferma, psicologicamente fragile, propenso alle lacrime, disperato, Elisabetta è ferma nella propria integerrima "purezza" e senso del dovere. Una donna di carattere, quindi, che nell'opera reagisce all'azione subdola perpetrata dalla principessa di Eboli, innamorata di Carlo e convinta che Elisabetta e Carlo fossero amanti.
Elisabetta si difende di fronte al marito da un'accusa infamante, ricordandogli con orgoglio e fermezza che è una regina e che, prima di essere promessa a lui, era stata promessa a Carlo. L'imperatore, furibondo, la colpisce. Ella non cede e, quando Eboli, accorsa al richiamo dell'imperatore (“Soccorso alla regina!”) le si presenta accanto e la sorregge, in preda al rimorso confessa alla regina la propria colpa, che non solo è quella di averla calunniata, ma anche quella di essere stata amante dell’imperatore. Elisabetta è regina anche in questo tremendo frangente. Fattasi riconsegnare la croce di Dama di Corte, pur potendo vendicarsi ben più severamente, le intima di scegliere fra il convento e l'esilio e la bandisce dalla Corte spagnola.
Verdi e la storia stessa ci insegnano a guardare a questa giovane donna come ad un esempio di rettitudine. Nell'opera ciò viene esaltato e sottolineato; in particolar modo in una tra le più belle pagine di musica verdiana: "Tu che le vanità conoscesti del mondo", al quarto (o quinto) atto. Un’invocazione, quasi preghiera, a Carlo V imperatore, un addio alla vita ed alla felicità. "Alla prima strofa, aperta da una larga frase drammatica senza accompagnamento, seguono recitativi in vari movimenti di tempo e di ritmo, e una serie di richiami dei motivi principali dei duetti d'amore".
Degna di interesse è anche l'aria "Non pianger mia compagna" in cui il pianto della Regina si fonde a quello della Contessa d'Aremberg nel lamentoso pedale sincopato di do, a cui fanno eco i singhiozzi dei violoncelli e la dolcezza della melodia.
La prima interprete di Elisabetta di Valois fu Marie Sass. A Verdi non piacque nè come cantante, definita “soprano belga”, ossia uno di quei soprani, che gridavano in zona acuta, (era, in effetti, un cosiddetto Falcon) né come interprete, asserendo che aveva fatto di Elisabetta una corista.
La prima esecutrice italiana (Bologna 1867) di Elisabetta fu Teresa Stolz che Verdi piaceva molto. Don Carlo, nel raffronto con le altre opere di Verdi ebbe limitata circolazione almeno sino agli anni ‘50 del secolo passato. Pagava lo scotto di essere nato quale Grand-Opéra con le annesse difficoltà vocali, direttoriali e di allestimento e il fatto che nel confronto con le altre opere del tardo Verdi, pensate per palcoscenici differenti da quello parigino, non offrisse ai protagonisti, tenore e soprano in primis, occasioni assolute per primeggiare.
Esemplare proprio il caso di Elisabetta di Valois, cantata da molti dei maggiori soprani drammatici in carriera sino agli anni ’50, senza, però, che nessuna passasse alla storia del canto e dell’interpretazione di questo personaggio.
La verità è che il limite, che Verdi imputava alla prima interprete, è un limite del personaggio stesso. Piegata alla ragione di Stato nel primo atto, dopo una fittizia prospettiva di felicità, moglie infelice ed insoddisfatta, ma sempre regina e, quindi, prona alla ragione di Stato nel secondo, pure straniera ed esule nel quarto, oltre che oltraggiata nei diritti coniugali, soffocata dall’onda dei ricordi al quinto. Come ogni sovrano più autentico schiavo di rango ed etichetta, i veri sentimenti di Elisabetta escono allo scoperto ben di rado, grazie a qualche frasetta marginale. Nel secondo atto al “non piangere mia compagnia” con il “cela l’oltraggio indegno” che è un chiaro avvertimento al marito, al quarto, durante lo scontro con Filippo quando assume di essere moglie solo per dovere ed al quinto nel monologo davanti la tomba del suocero.
Per capire la differenza di scrittura vocale con le altre primedonne del tardo Verdi basta esaminare quel che Verdi chiede alla invasata e furente Leonora di Vargas con il Padre Guardiano, che le promette un confortevole chiostro, o Aida sia con Amneris al secondo atto che con Amonasro e con Radames all’atto del Nilo. Ma anche certe frasi di sapore elegiaco e dolente in zona alta il “lieta poss’io precederti” del finale IV, sempre di Forza del destino o il “vedi per noi s’appressa un angel” della morte di Aida non trovano il parallelo nella scrittura di Elisabetta.
Ne risulta quindi un personaggio di contenuta spinta drammatica chiamata ad un canto elegante, nobile regale e distaccato ed in una tessitura mista, tipica, appunto del soprano Falcon. Scorrendo lo spartito le indicazioni sono costanti “largo”, “grandioso”, “commosso”, “dolce” a rinvigorire l’aura del personaggio.
Tanto per esemplificare: nella grande aria del quinto atto, ove Elisabetta deve fronteggiare un organico orchestrale che prevede oltre agli archi, oboe, clarinetto, trombe, tromboni, fagotti e, persino, l’oficleide (quello che nel Profeta accompagna gli Anabattisti), Verdi prescrive sull’attacco “larga la frase” seguito da una messa di voce su “ s’ancor si piange in cielo”, che deve anche essere molto dolce, sul “trono del Signor” Verdi scrive “marcato” e prevede “grandioso” per il “pianto mio”, ancora una messa di voce “monstre” compare su “ i ruscelli, i fonti, i boschi, i fior” e nella frase successiva con sotto un pesante organico orchestrale la Valois deve o dovrebbe rispettare la prescrizione “ a piacere” sul re grave della “pace dell’avel”.
Le prescrizioni di “dolce”, i piani ed i pianissimi o le messe di voce, che occupano quattro o cinque battute, con sotto orchestrali poderosi convengono a voci di ampiezza ben maggiore di un normale soprano lirico e dobbiamo accettare che il pianissimo di un soprano cosiddetto di forza non può essere di un soprano lirico. In difetto assisteremmo ad un progressivo ed antistorico uniformarsi.
 

 

Luciana Distante

 

 

 

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