007 ..:: 23.01.2017 :: 18:30
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SOVERATO :: Il
termine «mobbing» è stato coniato agli inizi degli anni
settanta dall'etologo Konrad Lorenz per descrivere un
particolare comportamento aggressivo tra individui della
stessa specie con l'obbiettivo di escludere un membro dello
stesso gruppo.
Con il termine mobbing si considera, in Italia, un insieme
di comportamenti aggressivi (abusi psicologici, angherie,
vessazioni, demansionamento, emarginazione, umiliazioni,
maldicenze, ostracizzazione, etc.) perpetrati da parte di
uno o più individui nei confronti di un altro individuo,
prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e
professionale nonché della salute psicofisica dello stesso.
I singoli atteggiamenti molesti (o emulativi) non
raggiungono necessariamente la soglia del reato né debbono
essere di per sé illegittimi, ma nell'insieme producono
danneggiamenti plurioffensivi anche gravi con conseguenze
sul patrimonio della vittima, la sua salute, la sua
esistenza. Più in generale, il termine indica i
comportamenti violenti che un gruppo (sociale, familiare,
animale) rivolge ad un suo membro.
Mobbing sul lavoro.
Questa pratica è spesso condotta con il fine di indurre la
vittima ad abbandonare da sé il lavoro, senza quindi
ricorrere al licenziamento (che potrebbe causare imbarazzo
all'azienda) o per ritorsione a seguito di comportamenti non
condivisi (ad esempio, denuncia ai superiori o all'esterno
di irregolarità sul posto di lavoro), o per il rifiuto della
vittima di sottostare a proposte o richieste immorali
(sessuali, di eseguire operazioni contrarie a divieti
deontologici o etici, etc.) o illegali.
Per potersi parlare di mobbing, l'attività persecutoria deve
essere funzionale alla espulsione del lavoratore,
causandogli una serie di ripercussioni psico-fisiche che
spesso sfociano in specifiche malattie (disturbo da
disadattamento lavorativo, disturbo post-traumatico da
stress) ad andamento cronico.
Va peraltro sottolineato che l'attività mobbizzante può
anche non essere di per sé illecita o illegittima o
immediatamente lesiva, dovendosi invece considerare la
sommatoria dei singoli episodi che nel loro insieme tendono
a produrre il danno nel tempo. In effetti, l'ingiustizia del
danno, vale a dire dell'evento lesivo non previsto né
giustificato da alcuna norma dell’Ordinamento giuridico,
deve essere sempre ricercata valutando unitariamente e
complessivamente i diversi atti, intesi nel senso di
comportamenti e/o provvedimenti.
Si distingue, nella prassi, fra mobbing gerarchico o
verticale e mobbing ambientale o orizzontale; nel primo caso
gli abusi sono commessi da superiori gerarchici della
vittima, nel secondo caso sono i colleghi della vittima ad
isolarla, a privarla apertamente della ordinaria
collaborazione, dell'usuale dialogo e del rispetto.
Si parla di mobbing dall'alto, o quando l'attività è
condotta da un superiore al fine di costringere alle
dimissioni un dipendente in particolare, ad es. perché
antipatico, poco competente o poco produttivo; in questo
caso, le attività di mobbing possono estendersi anche ai
colleghi (i side mobber), che preferiscono assecondare il
superiore, o quantomeno non prendere le difese della
vittima, per non inimicarsi il capo, nella speranza di fare
carriera, o semplicemente per "quieto vivere".
Si definisce invece «mobbing tra pari» quello praticato da
parte dei colleghi verso un lavoratore non integrato
nell'organizzazione lavorativa per motivi d'incompatibilità
ambientale o caratteriale, ad es. per i diversi interessi
sportivi, per motivi etnici o religiosi oppure perché
diversamente abile, oppure il mobbing dal basso;
generalmente la causa scatenante del mobbing orizzontale non
sono tanto le incompatibilità all'interno dell'ambiente di
lavoro quanto una reazione da parte di una maggioranza del
gruppo allo stress dell'ambiente e delle attività
lavorative: la vittima viene dunque utilizzata come "capro
espiatorio" su cui far ricadere la colpa della
disorganizzazione, delle inefficienze e dei fallimenti. Il
mobbing strategico si ha quando l'attività vessatoria e
dequalificante tende ad espellere il lavoratore, per far
posto ad un altro lavoratore (di solito in posizioni di
dirigenza o apicali).
Il «Bossing» è un termine che indica azioni compiute dalla
direzione o dall'amministrazione del personale e
che assume i contorni di una vera e propria strategia
aziendale, volta alla riduzione, ringiovanimento o
razionalizzazione del personale, oppure alla semplice
eliminazione di una persona indesiderata. Viene attuato con
il preciso scopo di indurre il dipendente alle dimissioni.
Può attuarsi in modalità differenti ma con lo scopo comune
di creare un clima di tensione intollerabile.
In ogni caso, il mobbing è riferibile ad un complesso,
sistematico e duraturo comportamento del datore di lavoro,
che deve essere esaminato in tutti i suoi aspetti e nelle
loro conseguenze, per creare un coacervo di stimoli lesivi
che non può né deve essere frazionato o spezzettato in tanti
singoli episodi, ciascuno dei quali aventi un proprio
effetto sanitario ovvero giuridico. Il primo a parlare di
mobbing quale condizione di persecuzione psicologica
nell'ambiente di lavoro è stato alla fine degli anni ottanta
lo psicologo svedese Heinz Leymann che lo definiva come una
comunicazione ostile e non etica diretta in maniera
sistematica da parte di uno o più individui generalmente
contro un singolo, progressivamente spinto in una posizione
in cui è privo di appoggio e di difesa. In Italia è stato
introdotto la tematica del mobbing dallo psicologo tedesco
Harald Ege, che per primo nel 2002 ha pubblicato un metodo
per il riconoscimento del danno da mobbing e del fenomeno
stesso tramite il riconoscimento di 7 parametri (il
cosiddetto metodo Ege 2002).
Alcuni contratti sindacali, come quello dei metalmeccanici
in Germania, prevedono un risarcimento di circa 250.000 euro
per i lavoratori mobbizzati.
I sindacalisti della Volkswagen furono i primi a introdurre
nei contratti di lavoro un capitolo sul mobbing con
indennità e strumenti di prevenzione (i centri d'ascolto
aziendali in particolare).
La pratica del mobbing consiste nel vessare il dipendente o
il collega di lavoro e i metodi possono essere i più
svariati. Ad esempio: sottrazione ingiustificata di
incarichi o della postazione di lavoro, dequalificazione
delle mansioni a compiti banali (fare fotocopie, compiti
insignificanti, poco gratificanti, dequalificanti o con
scarsa autonomia decisionale) così da rendere umiliante il
prosieguo del lavoro; rimproveri e richiami, espressi in
privato ed in pubblico anche per banalità; dotare il
lavoratore di attrezzature di lavoro di scarsa qualità o
obsolete, staccare fili nel pc, arredi scomodi, cambiare
stanza senza evidenti motivazioni, ambienti male illuminati;
interrompere il flusso di informazioni necessario per
l'attività (chiusura della casella di posta elettronica,
restrizioni sull'accesso a Internet); continue visite
fiscali in caso di malattia (e spesso al ritorno al lavoro,
la vittima trova la scrivania sgombra)
L'INAIL per prima in Italia ha definito il mobbing
lavorativo, qualificandolo come «costrittività
organizzativa» e ha stabilito che le possibili azioni
traumatiche possono riguardare la marginalizzazione dalla
attività lavorativa, lo svuotamento delle mansioni, la
mancata assegnazione dei compiti lavorativi o degli
strumenti di lavoro, i ripetuti trasferimenti
ingiustificati, la prolungata attribuzione di compiti
dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto o
di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a
eventuali condizioni di handicap psico-fisici, l'impedimento
sistematico e strutturale all’accesso a notizie, la
inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni
inerenti l’ordinaria attività di lavoro, l'esclusione
reiterata da iniziative formative, il controllo esasperato
ed eccessivo.
Pertanto il mobbing rappresenta il termine per indicare la
complessiva attività ostile posta in essere solitamente da
un datore di lavoro (pubblico o privato, da solo o in
combutta) per demansionare il lavoratore, isolarlo e
obbligarlo al trasferimento o alle dimissioni.
La giurisprudenza dispone più frequentemente e facilmente il
risarcimento del danno biologico, ma non del danno morale;
il mobbing deve aver procurato una delle malattie
documentate in letteratura medica per avere diritto a
un'indennità dall'azienda.
Mobbing a scuola.
Il mobbing a scuola è forma di “vessazione di branco” che
spesso si confonde con il bullismo ovvero con una sorta di
bullismo di gruppo organizzato ai danni di un compagno di
classe. Esiste anche in ambiente scolastico, benché più
denunciato sui media che studiato e analizzato, una forma
particolare di mobbing “dall’alto”, ossia praticato da un
insegnante a danno di uno o più allievi, attraverso:
espressioni sistematicamente denigratorie e/o provvedimenti
disciplinari persecutori, valutazioni o giudizi
ingiustificatamente negativi.
Conseguenze sulla salute.
Il mobbing non è una malattia ma può esserne la causa. La
patologia psichiatrica più frequentemente associata è il
disturbo dell'adattamento; esso si compone di una variegata
sintomatologia ansioso-depressiva reattiva all'evento
stressogeno. Fra le conseguenze rientrano la perdita
d'autostima, depressione, insonnia, isolamento. Il mobbing è
causa di cefalea, annebbiamenti della vista, tremore,
tachicardia, sudorazione fredda, gastrite, dermatosi. Le
conseguenze maggiori sono disturbi della socialità, quindi,
nevrosi, depressione, isolamento sociale e, suicidio in un
numero non trascurabile di casi.
In Italia il numero di vittime del mobbing è stimato intorno
a 1 milione e 200 mila, che salgono a 5 milioni se si
considerano anche le famiglie. In Svezia e Germania circa
mezzo milione di persone hanno dovuto ricorrere al
prepensionamento o a cliniche psichiatriche a causa del
mobbing.
Negli ultimi dieci anni i casi di mobbing denunciati hanno
avuto un incremento esponenziale. Il mobbing ha un forte
costo sociale stimato il 190% superiore al salario annuo
lordo di un dipendente non mobbizzato. In Svezia si stima
che il mobbing sia causa di un 20% dei suicidi.
Nei primi anni '90, lo psicologo svedese Leymann tenne in
Italia una serie di conferenze che diedero inizio al
dibattito nazionale sul mobbing con una decina d'anni di
ritardo rispetto a Svezia e Germania. Leymann estese il
dibattito sul mobbing dapprima in Germania e poi nel resto
dei Paesi UE.
La tutela giuridica.
Un libro verde del Parlamento Europeo, "Il mobbing sul posto
di lavoro", del 16 luglio 2001, introduceva il dibattito in
tema di mobbing in sede comunitaria.
La successiva risoluzione del Parlamento europeo sul mobbing
sul posto di lavoro —2001/2339 (INI)— è uno dei primi
riferimenti normativi in materia, non recepito
nell'ordinamento italiano.
La risoluzione non è stata seguita da una direttiva europea,
che obbligasse gli Stati membri a legiferare in tema di
mobbing.
In Italia non esiste una legge in materia di mobbing e
quindi il mobbing non è configurato come specifico reato a
sé stante. Gli atti di mobbing possono però rientrare in
altre fattispecie di reato, previste dal codice penale,
quali le lesioni personali gravi o gravissime, anche colpose
che sono perseguibili di ufficio e si ritengono di fatto
sussistenti nel caso di riconoscimento dell'origine
professionale della malattia. La legge italiana disciplina
anche il risarcimento del danno biologico, associabile a
situazioni di mobbing.
Una sentenza del Tribunale di Pisa afferma la non
computabilità nella durata della malattia delle assenze
riconducibili alla violazione dell’obbligo aziendale di non
aggravamento del compromesso stato di salute del dipendente.
Un successiva sentenza della Corte di Cassazione, la n. 572
del 2002, stabilisce che un periodo di malattia eccedente i
limiti previsti nel Contratto Collettivo di riferimento non
è giustificato motivo soggettivo di licenziamento, se la
malattia o invalidità permanente del lavoratore hanno una
causa prevalente nell'attività lavorativa, oppure se,
sopraggiunte per cause indipendenti, trovano nell'attività
lavorativa una concausa aggravante, e il datore non adibisce
il lavoratore ad altre mansioni, purché sussistano in
azienda .
La non computabilità nella durata del periodo di malattia
può essere interpretata come estensione de facto del limite
dei 3 mesi, oltre il quale i CCNL legittimano il
licenziamento, oppure in un completo onere a carico del
datore di lavoro, che deve corrispondere il 100% della
retribuzione per i periodi di assenza non coperti
dall'indennità di malattia. Nel primo caso, quota superiore
al 50% della retribuzione è a carico dell'ente
previdenziale, come previsto per le assenze prolungate.
L'INPS può, in generale, però esercitare diritto di rivalsa
su chi ha determinato la malattia/invalidità e il pagamento
della relativa indennità, come chi causa un incidente
stradale, o, nel caso in esame, il datore di lavoro.
L’accertamento del danno da mobbing esige “una valutazione
unitaria degli episodi denunciati dal lavoratore, i quali
raggiungono la soglia del mobbing ove assumano le
caratteristiche di una persecuzione, per la loro
sistematicità e la durata dell’azione nel tempo” . Secondo
l’avviso della Corte Costituzionale, infatti, gli atti posti
in essere possono risultare “se esaminati singolarmente,
anche leciti, legittimi o irrilevanti dal punto di vista
giuridico”, assumendo, purtuttavia, “rilievo quali elementi
della complessiva condotta caratterizzata nel suo insieme
dall’effetto” e risolvendosi, normalmente, in “disturbi di
vario tipo e, a volte, patologie psicotiche,
complessivamente indicati come sindrome da stress
postraumatico”.
In effetti, il mobbing sul posto di lavoro può realizzarsi
con comportamenti datoriali, materiali o provvedimentali,
indipendentemente dall'inadempimento di specifichi obblighi
contrattuali o dalla violazione di specifiche norme
attinenti alla tutela del lavoratore subordinato. Quindi
l'esistenza della lesione del bene protetto e delle
conseguenze deve essere valutata nel complesso degli episodi
dedotti in giudizio come lesivi, considerando l'idoneità
offensiva della condotta, che può essere dimostrata, per la
sistematicità e durata dell'azione nel tempo, dalle sue
caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione,
risultanti specificamente da una connotazione emulativa e
pretestuosa (Corte di Cassazione, sentenza n. 4774 del 6
marzo 2006, da Legge e Giustizia Lettera telematica di
notizie - Direttore responsabile Domenico d'Amati).
La più frequente azione da mobbing consiste nel
dequalificare il lavoratore per demotivarlo, farlo ammalare
e costringerlo alle dimissioni, considerando che, sul piano
giuridico, il demansionamento è vietato perché costituisce
sempre lesione del diritto fondamentale alla libera
esplicazione della personalità del lavoratore nel luogo di
lavoro, tutelato dagli artt. 1 e 2 della Costituzione; il
danno che ne deriva è suscettibile di per sé, di
risarcimento (Cass. sez. lav. 12 nov. 2002, n. 15868; Corte
d’Appello di Salerno, sez. lav., 17 aprile 2002).
Presso il Parlamento italiano sono depositati diversi
disegni di legge sul tema; manca invece un orientamento
comunitario in tema di mobbing.
La Costituzione italiana (artt. 2-3-4-32-35-36-41-42) tutela
la persona in tutte le sue fasi esistenziali, da quella di
cittadino a quella di lavoratore. Inoltre, sul datore di
lavoro grava l’obbligo contrattuale, derivante dall’art.
2087 cod.civ., di tutelare la salute e la personalità morale
del dipendente. La Corte di Cassazione ha ritenuto che
un’iniziativa diretta alla repressione, non già alla
prevenzione dei fatti mobbizzanti non è idonea a costituire
adempimento agli obblighi previsti dall’art. 2087 cod. civ.
Molti comportamenti che caratterizzano il mobbing trovano
inoltre una precisa connotazione in numerosi articoli del
codice penale (abuso d'ufficio, percosse, lesione personale
volontarie, ingiuria, diffamazione, minaccia, molestie).
In Germania sono diffusi sul territorio centri d'ascolto a
cui rivolgersi in caso di molestie morali nelle aziende di
maggiori dimensioni (come la Volkswagen). Sempre in Germania
è previsto il prepensionamento a carico dell'azienda per i
dipendenti riconosciuti vittime di mobbing.
In Svezia la legislazione prevede il reato di mobbing.
Gli Stati Uniti hanno una delle prime e più severi leggi
sulle molestie sessuali sul posto di lavoro, ma poca
attenzione per questa materia.
Cafa
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