022 ..:: 19.02.2017 :: 18:30
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SOVERATO :: Pubblichiamo
la sentenza.
Deposito in cancelleria: 11
dicembre 1973.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 326 del 19 dicembre 1973.
Pres. BONIFACIO - Rel. ROSSI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO,
Presidente - Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Dott. GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI - Dott. LUIGI OGGIONI - Dott. ANGELO DE MARCO -
Avv. ERCOLE ROCCHETTI - Prof. ENZO CAPALOZZA - Prof.
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO CRISAFULLI - Dott.
NICOLA REALE - Prof. PAOLO ROSSI - Avv. LEONETTO AMADEI -
Prof. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof.
GUIDO ASTUTI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 della
legge 27 maggio 1929, n. 810, nella parte in cui dà
esecuzione all'art. 34, quarto, quinto e sesto comma, del
Concordato tra la Santa Sede e l'Italia, promosso con
ordinanza emessa il 7 maggio 1971 dal tribunale di Rovigo
nel procedimento civile vertente tra Oliviero Mario e Cremon
Guglielma iscritta al n. 423 del registro ordinanze 1971 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4
del 5 gennaio 1972.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell'udienza pubblica del 21 novembre 1973 il Giudice
relatore Paolo Rossi;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Vito
Cavalli, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
Nel corso di un procedimento avente ad oggetto la asserita
invalidità di un matrimonio concordatario per preteso vizio
del consenso dell'attore, il tribunale di Rovigo, investito
della controversia, ha sollevato questione incidentale di
legittimità costituzionale delle norme che escludono in
siffatta materia la giurisdizione del giudice italiano (art.
1 della legge 27 maggio 1929, n. 810, nella parte in cui dà
esecuzione all'art. 34, commi quarto, quinto e sesto del
Concordato), in riferimento agli artt. 1, comma secondo, 3,
comma primo, 11, 24, commi primo e secondo, 25, comma primo,
101, comma primo, 102, commi primo e secondo, della
Costituzione.
L'ordinanza di remissione premette, in tema di rilevanza,
che l'ostacolo che si frappone all'esame del merito della
domanda attrice è rappresentato dalle norme impugnate,
secondo cui dette controversie sono riservate alla
cognizione esclusiva dei tribunali ecclesiastici, ed altresì
che il controllo di legittimità delle leggi che hanno dato
esecuzione ai Patti Lateranensi non è precluso dall'art. 7
della Costituzione, giusta le sentenze della Corte
costituzionale nn. 30 e 31 del 1971, potendosene valutare la
conformità, o meno, ai principi supremi dell'ordinamento
costituzionale italiano.
Il giudice a quo prosegue denunciando i seguenti motivi
d'illegittimità delle norme impugnate: 1) la riserva alla
giurisdizione ecclesiastica delle cause concernenti la
nullità del matrimonio celebrato religiosamente e trascritto
negli uffici dello stato civile, costituirebbe una parziale
abdicazione dello Stato italiano alla propria sovranità, nel
campo della funzione giurisdizionale. Non sarebbe conferente
il riferimento al fenomeno del rinvio all'ordinamento
straniero conseguente al conflitto di leggi nello spazio,
sia per i profili di estraneità che lo giustificano, sia
perché la norma richiamata è tuttavia sempre applicata dagli
organi giurisdizionali interni; neppure v'è piena analogia
con l'istituto della dichiarazione di efficacia in Italia
delle sentenze emesse dai giudici stranieri, specialmente
perché ciò avviene attraverso un procedimento
giurisdizionale che richiede un penetrante controllo. Le
norme impugnate, invece, demandando in via preventiva alla
esclusiva giurisdizione ecclesiastica un gruppo di
controversie e poi rendendo esecutive nell'ordinamento
italiano le decisioni di quegli organi, subordinatamente ad
un controllo limitato alla mera regolarità formale della
documentazione ricevuta, apportano una grave limitazione
alla sovranità dello Stato, in contrasto con l'art. 1
secondo comma, della Costituzione, secondo cui la sovranità
va esercitata nelle forme previste dalla Costituzione, e con
gli artt. 101 e 102, primo e secondo comma, della Carta, che
attribuiscono la funzione giurisdizionale alla magistratura
ordinaria, vietando l'istituzione di giudici speciali. La
suddetta limitazione di sovranità contrasterebbe inoltre con
l'art. 11 della Costituzione, il quale ne prevede la
possibilità soltanto al diverso fine di assicurare la pace e
la giustizia tra le nazioni. Né potrebbe sostenersi che la
menzionata riserva di giurisdizione sia inscindibilmente
connessa al riconoscimento concordatario del matrimonio
cattolico, essendo pienamente concepibile che siano i
tribunali italiani, anche in questo caso, ad applicare le
norme di altri ordinamenti, sicché l'art. 7 della
Costituzione, mentre giustificherebbe il rinvio alla
disciplina canonistica del matrimonio non potrebbe sanare
l'ulteriore limitazione alla giurisdizione dello Stato,
perché attinente ad "un principio supremo dell'ordinamento
costituzionale" (cfr. sentenza Corte cost. n. 30 del 1971);
2) le norme impugnate, escludendo di fronte al giudice
italiano ogni azione e ogni difesa della parte anche nella
fase concernente la dichiarazione di esecutorietà della
decisione ecclesiastica, violerebbero i principi
costituzionali che assicurano a tutti l'azione giudiziale e
la difesa in ogni stato e grado del procedimento (art. 24,
primo e secondo comma, della Costituzione); 3) la riserva di
giurisdizione a favore di un giudice non italiano,
contrasterebbe con il principio del giudice naturale, di cui
all'art. 25, primo comma, della Costituzione; 4)
risulterebbe altresì violato il principio di eguaglianza
(art. 3, primo comma, Cost.) perché il regime del matrimonio
avente effetti civili, in conseguenza dell'esecutività
propria delle sentenze ecclesiastiche, finisce per
presentare notevoli differenze in tema di impedimenti, di
requisiti di validità, di condizioni preclusive dell'azione,
a seconda che la celebrazione sia avvenuta in forma
concordataria o diversa. Tale differenziazione sarebbe per
giunta collegata alla differenza di religione, non potendo
essere la conseguenza di una libera scelta del rito, giacché
questa compete soltanto ai cattolici, non essendo ammessi al
matrimonio canonico i soggetti non battezzati.
È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello Stato, con atto depositato il 24 gennaio 1972,
chiedendo dichiararsi l'irrilevanza o comunque
l'infondatezza della questione sollevata.
La difesa dello Stato premette che poiché l'attore aveva
dedotto in giudizio il vizio del proprio consenso alle nozze
come derivante dallo stato di incapacità naturale della
moglie, antecedente al matrimonio, il giudice a quo avrebbe
potuto emettere un giudizio in tema di validità della
trascrizione del matrimonio concordatario in base alla
dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 16
della legge 27 maggio 1929, n. 847, emessa dalla Corte
costituzionale con sentenza n. 32 del 1971. Sotto tale
profilo l'Avvocatura generale eccepisce l'irrilevanza della
questione proposta, ritenendo potersi escludere il difetto
di giurisdizione del giudice adito. Nel merito, a sostegno
dell'infondatezza, svolge le seguenti osservazioni: 1) non
sussiste la denunciata violazione del principio di
eguaglianza perché, come già esplicitamente chiarito dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 30 del 1971 "la
discriminazione stessa risulta... espressamente consentita
da altra norma costituzionale, e cioè dall'art. 7, secondo
comma, che, per la disciplina dei rapporti tra Stato e
Chiesa, rinvia ai Patti Lateranensi dei quali il Concordato
è parte integrante"; 2) l'impugnata riserva di giurisdizione
a favore dei tribunali ecclesiastici non contrasterebbe con
"i principi supremi dell'ordinamento costituzionale dello
Stato" e con gli artt. 1, secondo comma, e 11 della
Costituzione. Invero il fenomeno sarebbe chiaramente
inquadrabile nell'ambito del principio generale
dell'inderogabilità della giurisdizione in materia civile,
principio che notoriamente non avrebbe natura
costituzionale, come risulterebbe dall'art. 2 del codice di
procedura civile, dalle numerose convenzioni internazionali
che specie di recente vi hanno apportato sempre più numerose
eccezioni, e dallo stesso art. 80 della Costituzione,
concernente l'intervento del legislatore ordinario nella
procedura di ratifica dei trattati internazionali che
prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari. Spetterebbe
pertanto al legislatore ordinario di compiere le
istituzionali valutazioni politiche per decidere se derogare
o meno al principio suddetto. Né potrebbe aversi violazione
dell'art. 11 della Costituzione, dettato per altre note
finalità, atteso il necessario coordinamento tra le
limitazioni di sovranità ipotizzate da tale norma e quelle
altre, già menzionate, previste dal citato art. 80; 3) la
deroga alla giurisdizione esclude di conseguenza
l'instaurazione di un nuovo procedimento di fronte al
giudice interno, sicché la confutazione del preteso
contrasto con l'art. 24 della Costituzione, rimarrebbe
assorbita dalle precedenti osservazioni intese a dimostrare
la legittimità delle deroghe; 4) nessun fondamento può
riconoscersi alla tesi che la competenza in materia di
annullamento dei matrimoni, verrebbe attribuita ad un
giudice speciale, in contrasto con l'art. 102, primo e
secondo comma, della Costituzione. Invero la Corte
costituzionale ha già escluso in tale materia il suddetto
ipotizzato contrasto, con la sentenza n. 30 del 1971, che ha
fatto anche riferimento alla precedente decisione n. 98 del
1965, a proposito della Corte di Giustizia delle comunità
europee; 5) palesemente infondata è altresì la pretesa
violazione del principio del giudice naturale, posto che
secondo la costante giurisprudenza della Corte
costituzionale tale nozione si identifica con quella di
giudice precostituito per legge, e che nessuno ha mai potuto
nemmeno dubitare che la giurisdizione dei tribunali
ecclesiastici non sia prevista da una legge dello Stato
italiano.
Conclude pertanto l'Avvocatura dello Stato istando per una
pronuncia d'irrilevanza o di manifesta infondatezza della
questione proposta.
Nessuna parte privata si è costituita in questa sede.
Alla pubblica udienza la difesa dello Stato ha insistito
nelle proprie conclusioni.
Considerato in diritto:
1. - Occorre pregiudizialmente prendere in esame l'eccezione
d'irrilevanza sollevata dall'Avvocatura generale dello
Stato.
Questa Corte con la sentenza n. 32 del 1971 ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale dell'art. 16 della legge 27
maggio 1929, n. 847, recante disposizioni per l'applicazione
del Concordato fra la Santa Sede e l'Italia, nella parte in
cui non prevede che la trascrizione del matrimonio possa
venir impugnata per incapacità naturale esistente al momento
in cui fu scelta dai subendi la forma concordataria.
Se l'azione proposta davanti al tribunale di Rovigo avesse
avuto come oggetto l'invalidità del matrimonio per
incapacità naturale di uno dei due sposi all'atto in cui
venne chiesto il matrimonio religioso anziché quello
puramente civile, il tribunale avrebbe dovuto affermare la
propria competenza decidendo nel merito e l'eccezione
d'irrilevanza sarebbe da accogliersi. Ma il marito attore
non fondava la propria domanda sulla incapacità naturale
della moglie al momento della scelta fra i due riti, ma
affermava genericamente che la moglie al tempo delle nozze
(contratte dieci anni prima e seguite dalla nascita di due
figli) non era "in perfetto stato psichico", ciò che gli
sarebbe stato taciuto, talché egli "si era deciso al
matrimonio ignorando una qualità del coniuge che, ove
conosciuta, avrebbe comportato il suo rifiuto al contratto
matrimoniale".
L'azione, così come il marito attore la prospettava, era
fondata sul vizio di consenso, da parte sua, per errore in
cui sarebbe stato indotto, o sarebbe caduto, non certo sulla
incapacità naturale della moglie al momento della
stipulazione del matrimonio.
L'eccezione d'irrilevanza va quindi respinta.
2. - Questione di fondo, cui le altre appaiono subordinate,
è se la giurisdizione dei tribunali ecclesiastici in materia
matrimoniale (art. 1 della legge 1929, n. 810, che rende
esecutivo l'art. 34, commi quarto, quinto, sesto del
Concordato con la Santa Sede), sia compatibile con la
sovranità dello Stato italiano; e se l'art. 7 della
Costituzione, dichiarando che i rapporti fra Stato e Chiesa
sono regolati dai Patti Lateranensi, consenta un sindacato
di legittimità costituzionale sulle singole norme di
esecuzione del Concordato 11 febbraio 1929.
La Corte deve richiamare la propria sentenza 24 febbraio
1971, n. 30, la quale, pur affermando che l'art. 7 della
Costituzione ha dato rilevanza costituzionale ai Patti
Lateranensi, ha peraltro soggiunto che l'art. 7 "non può
avere forza di negare i principi supremi dell'ordinamento
costituzionale dello Stato".
Si tratta dunque di vedere se la riserva della giurisdizione
costituisca "principio supremo" che nemmeno una legge avente
copertura costituzionale potrebbe superare. Non vi è dubbio
che la giurisdizione sia principio caratteristico della
sovranità e di questa rappresenti un elemento costitutivo.
Ma un'inderogabilità assoluta della giurisdizione statale
non risulta da espresse norme della Costituzione, né è
deducibile, con particolare riguardo alla materia civile,
dai principi generali del nostro ordinamento, nel quale
ipotesi di deroga sono stabilite da leggi ordinarie (art. 2
cod. proc. civ.). La stessa Costituzione, all'art. 80,
prevede che con legge ordinaria sia autorizzata la ratifica
di accordi internazionali aventi per oggetto arbitrati o
regolamenti giudiziari.
Né vale argomentare dall'art. 11 Cost. per dedurne che ogni
limitazione di sovranità possa trovare giustificazione solo
ove ricorrano i presupposti previsti in quella norma, e ciò
perché i rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica trovano
specifico riferimento nell'art. 7.
3. - Riconosciuta la compatibilità con il nuovo ordinamento
costituzionale di una deroga alla giurisdizione che sia
razionalmente e politicamente giustificabile, tale deroga
trova appunto giustificazione nel complesso sistema che,
riconoscendo effetti civili al matrimonio così come
disciplinato dal diritto canonico, non irrazionalmente
devolve ai tribunali ecclesiastici la cognizione delle cause
di nullità del matrimonio. Può aggiungersi che l'intervento
del giudice italiano in certa misura si realizza, sia pure
con cognizione limitata, nello speciale procedimento di
delibazione affidato alla Corte d'appello, con le relative
garanzie.
Le questioni dedotte dagli artt. 24, 25 e 102, secondo
comma, della Costituzione, si possono considerare assorbite
da quanto precede. Può soltanto ricordarsi, secondo quanto
già ripetutamente affermato, che giudice naturale è quello
"precostituito per legge", e tale espressamente risulta
quello designato dalle norme impugnate, come pure che i
tribunali ecclesiastici sono estranei all'ordinamento
giuridico interno e non costituiscono giudici speciali nel
senso indicato dalla Costituzione (sentenza n. 30 del 1971).
4. - In ordine alla differenza di trattamento, con
violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), fra
cittadini che vogliano contrarre matrimonio concordatario e
cittadini che non vogliano contrarlo, è da rilevarsi che
tutti i cittadini italiani, nelle condizioni personali
volute indistintamente dalla legge, possono contrarre
matrimonio civile. Anche i cittadini di fede cattolica, se
non vogliono rinunciare alla giurisdizione statale in tema
di matrimonio, possono contrarre prima le nozze civili e poi
quelle religiose.
Una piena libertà di scelta, con le conseguenze diverse che
essa può eventualmente comportare, non viola il principio di
uguaglianza.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 1 della legge 27 maggio 1929, n.
810, nella parte in cui dà esecuzione ai commi quarto,
quinto e sesto dell'art. 34 del Concordato tra l'Italia e la
Santa Sede, sollevata, con l'ordinanza in epigrafe indicata,
in riferimento agli artt. 1, secondo comma, 3, primo comma,
11, 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, 101, primo
comma, 102, primo e secondo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 1973.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - GIUSEPPE VERZÌ - GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI - LUIGI OGGIONI - ANGELO DE MARCO -
ERCOLE ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI - NICOLA REALE - PAOLO ROSSI -
LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA -
GUIDO ASTUTI.
ARDUINO SALUSTRI - Cancelliere
Marfa
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