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DPR 245 del 2007: Patto di corresponsabilità educativa scuola-famiglia.

026 ..:: 23.02.2017 :: 18:30

 

 

 

 

 

 

::: SOVERATO :: Secondo i dati rilevati da una ricerca della Uil Scuola (2001), oggi in Italia l'8,1% degli studenti delle scuole medie superiori viene bocciato almeno una volta, mentre il 5,2% non supera, al primo tentativo, l'esame di maturità. Nelle scuole medie inferiori la metà di coloro che affrontano l'esame di licenza non va oltre il giudizio "sufficiente".
La maggior parte degli studenti ripetenti delle scuole medie superiori vive nelle Isole: il 10,2% degli studenti della Sicilia e della Sardegna viene bocciato almeno una volta. La percentuale scende nel Nord-Ovest (8,3%) e nel Centro (8,1%), assestandosi sui valori più bassi al Sud (7,5%) e al Nord-Est (7%).
La Sardegna detiene il primato nella classifica nazionale del maggior numero di bocciati, con una percentuale del 15,2%; seguono la Valle d'Aosta con il 9,8%, la Liguria con il 9,2%, poi il Lazio e la Sicilia con l'8,8%.
La maggiore frequenza nelle bocciature si registra in quattro città sarde: Cagliari (16,1%), Oristano (15,5%), Sassari e Nuoro (14,2%). Nella classifica seguono Caltanisetta (11,1%), Livorno (10,7%), Rieti (10,3%), Massa, Palermo e Catania (10%). I migliori risultati si evidenziano a Macerata (4,4%), Cuneo (4,5%), Piacenza (5%), Terni (5,2%) e Alessandria (5,3%).
La tipologia di istituto che presenta il maggior numero di ripetenti è l'istituto d'arte, in cui il 22,4% degli studenti, ovvero un quinto del totale, deve ripetere l'anno scolastico almeno una volta. Una situazione simile caratterizza gli istituti tecnici ed i licei artistici (20,5%), gli istituti professionali (17,2%) e quelli magistrali (16,8%); i licei si discostano invece nettamente da questi dati negativi.
In generale, le pagelle denunciano una preparazione non brillante degli studenti delle scuole superiori: il 44,9% di essi ottiene un giudizio "sufficiente", il 24% "buono", il 16,2% "distinto" e soltanto il 14,9% ottiene "ottimo".
Per quanto concerne l'esame di maturità, Agrigento detiene il primato negativo del maggior numero di bocciati, seguita da Mantova, Enna, Reggio Calabria e Cosenza.
La Ricerca della Uil Scuola non manca tuttavia di registrare alcuni elementi moderatamente positivi, come ad esempio l'attestarsi su livelli "fisiologici" del fenomeno della dispersione nelle scuole elementari. Anche nelle scuole secondarie superiori i valori relativi all'a.s. 2000-2001 restano pressoché stabili rispetto all'anno precedente, mentre invece assumono particolare rilevanza negli istituti professionali e nelle scuole medie.
Un'indagine campionaria sulla dispersione scolastica è stata realizzata dall'Ufficio di Statistica del Ministero dell'Istruzione relativamente all'anno scolastico 2000-01.
La rilevazione riguarda gli studenti di elementari, medie e superiori che si sono ritirati con atto formale entro i termini di legge (esclusi quelli che si sono trasferiti ad altra scuola), gli alunni non valutati agli scrutini finali a causa dell'elevato numero di assenze, e i ragazzi che sono usciti dal circuito dell'istruzione dopo l'assolvimento dell'obbligo scolastico senza però aver conseguito la licenza media.
L'indagine è basata su un'analisi dei comportamenti di disagio e disaffezione, che sono gli indicatori più comuni della dispersione scolastica, e mostra, per quanto riguarda la situazione della scuola elementare, un picco di abbandono dello 0,05% riguardante gli alunni "mai frequentanti sebbene iscritti": nella quasi totalità dei casi si tratta di alunni nomadi, le cui famiglie decidono di trasferirsi altrove o di non mandare più i figli a scuola senza darne avviso.
Il dato risultante dagli indicatori di abbandono in senso stretto, nei cinque anni di corso, è dello 0,07%, pari a quello dell'anno scolastico 1999-2000, con una flessione dello 0,10% rispetto all'anno scolastico 1990-91, più evidente nelle Isole (- 0,36%) e al Sud (- 0,16%).
Una situazione simile si riscontra nelle scuole medie, con valori però più elevati: nell'a.s. 2000-01, lo 0,31% degli iscritti (rispetto allo 0,39% dell'anno precedente) ha abbandonato, con una variazione di -1,09% nell'arco del decennio. I valori più bassi della dispersione nelle scuole medie statali si registrano al Nord (0,09%), mentre quelli più elevati si evidenziano nelle Isole (0,67%) e al Sud (0,55%); bisogna tuttavia sottolineare che, rispetto all'a.s. 1990-91, in queste due macroregioni si è registrata una variazione di -2,08% nel primo caso e di -2,01% nel secondo. La maggiore concentrazione di abbandoni (0,22% nazionale) si verifica tra gli alunni "mai frequentanti sebbene iscritti", con punte dello 0,49% nelle Isole e dello 0,40% al Sud.
Nella scuola secondaria superiore, gli studenti non valutati perché ritirati ufficialmente nell'a.s. 2000-2001 sono stati il 2,8% degli iscritti (contro il 3% dell'anno precedente); a questi si aggiunge l'1,8% riferito a studenti non valutati per altri motivi (salute, assenze, mancata frequenza).
Per l'anno scolastico in questione, la dispersione risulta più pesante negli istituti professionali (8,7%) e negli istituti d'arte (6%). Il rischio di abbandono è presente soprattutto nel primo anno di corso, su tutto il territorio nazionale: risulta disperso infatti il 6,7% degli iscritti, con punte del 9,6% nelle scuole delle Isole e dell'8,5% in quelle del Sud. Nell'a.s. 2000-2001, la dispersione scolastica nelle Isole ha fatto registrare valori al di sopra della media nazionale in ognuna delle tipologie di scuola secondaria superiore (tranne al liceo scientifico), con una differenza di ben +3,8 punti percentuali negli istituti tecnici e di +3 punti negli istituti d'arte. Accade l'opposto al Nord e al Centro, dove i valori sono sempre al di sotto della media nazionale, oppure la superano, ma in misura decisamente trascurabile (come nel caso del liceo classico e scientifico al Nord e del liceo classico al Centro). Anche al Sud, la situazione si presenta sostanzialmente in linea con la media italiana, tranne al liceo artistico, dove la dispersione scolastica fa registrare +3,5 punti percentuali in più rispetto ai valori nazionali.
Secondo i dati diffusi nel dicembre 2001 dal Ministero dell'Istruzione, e relativi alle scuole statali e non statali del territorio nazionale, i valori più alti della dispersione si registrano nelle regioni meridionali e insulari: al Sud, la percentuale dell'abbandono scolastico nelle medie corrisponde allo 0,51% (contro lo 0,31% della media nazionale); alle superiori, la percentuale è dell'1,15%, mentre il dato italiano si attesta sullo 0,88%; nelle Isole, lo scarto rispetto ai valori nazionali è ancora più evidente (0,72% nelle medie e 1,72% alle superiori); i valori registrati nel Nord-Ovest, nel Nord-Est e nel Centro sono invece sempre al di sotto della media nazionale, sia nel caso delle scuole medie che di quelle superiori.
Considerando i dati regionali, in Sardegna si registra la dispersione massima per le scuole superiori (2,99%, seguita dalla Liguria con l'1,41% e dalla Campania con l'1,36%); i valori relativi alle scuole medie, invece, superano la media nazionale in Sicilia (0,79%), seguita dalla Puglia (0,60%) e dalla Calabria (0,58%).
Secondo un'indagine Eurostat del 1999, la realtà italiana, confrontata con la situazione europea, mostra ancora una volta le pecche e l'inefficienza del suo sistema scolastico: esaminando la ripartizione della popolazione fra i 25 e i 64 anni nei paesi dell'Unione, si osserva che in Italia oltre la metà della popolazione (54%) ha solo la licenza media, mentre nel Regno Unito questa percentuale scende al 19% e in Germania al 14%. Per quanto concerne l'istruzione secondaria superiore, solo il 34% degli italiani completa gli studi, mentre Austria (68%), Germania (61%) e Regno Unito (57%) hanno standard pari quasi al doppio. Solo l'11% della popolazione italiana, infine, consegue la laurea, rispetto al 27% dell'Olanda, al 17% di Spagna e Danimarca e al 16% del Lussemburgo.

L'indagine Eurispes
L'Eurispes, in collaborazione con il Master Europeo in Gestione di Impresa Cinematografica e Audiovisiva ha svolto un'indagine campionaria su 800 studenti delle scuole medie e del biennio superiore. La ricerca ha preso in esame il rapporto degli intervistati con l'istituzione scolastica nel suo complesso, nell'intento di individuare nuclei problematici in cui possano annidarsi potenziali fenomeni di dispersione scolastica.
Dall'indagine Eurispes emergono alcuni segnali che, per la loro esemplarità e la loro valenza conoscitiva, possono efficacemente inserirsi nel dibattito nazionale sulla modernizzazione dell'istituzione scolastica e sulla necessità di adeguare la qualità dell'offerta formativa alle richieste dell'utenza e del mercato del lavoro.
In merito al significato dell'esperienza scolastica, i ragazzi sembrano esprimere un'opinione contraddittoria: ne avvertono l'importanza (come occasione di crescita e come investimento per il futuro), ma anche l'onere, se è vero che il 33,8% di quegli alunni che pure si dichiarano consapevoli dell'utilità della scuola per il loro avvenire, guarda con una sorta di invidia a coloro che abbandonano la scuola, giudicandoli "liberi", forse perché sordi al richiamo interiore del dovere o alle ambizioni inculcate dalla società o dalla famiglia.
Questo atteggiamento si accentua nel passaggio dalle medie al primo anno delle superiori: chi non studia viene definito una persona libera dal 5,2% degli alunni di prima media e dal 16,9% degli intervistati in prima superiore; lo stesso giudizio viene espresso riguardo a chi abbandona la scuola dal 7,6% degli intervistati in prima media, ma la percentuale sale di ben 12,7 punti in prima superiore. Chi non studia fa del male a se stesso per l'80,5% degli alunni di prima media, ma in prima superiore la percentuale precipita al 68,4%. Questi dati concordano con l'incremento del numero dei ripetenti e della dispersione scolastica che si registrano nelle fasi di passaggio da un ciclo di studi ad un altro.
Bisogna tuttavia sottolineare che, nel passaggio dalla prima alla seconda superiore, aumenta la percentuale di alunni che giudicano autodistruttivo il comportamento di chi si sottrae allo studio (+7 punti) o abbandona la scuola (+7,3); parallelamente, queste scelte vengono considerate sempre meno come espressioni della libertà individuale: scende, infatti, dal 20,3% al 15,6% il numero di chi reputa "libero" chi non studia e crolla dal 16,9% al 6,2% la percentuale di chi considera l'abbandono scolastico come una forma di emancipazione da doveri imposti dall'esterno e mai interiorizzati.
Sembra dunque che, superata la fase critica e disorientante dell'accesso al ciclo di istruzione successivo (con la mole di lavoro e responsabilità aggiuntive che questo comporta), gli studenti si incamminino verso una progressiva armonizzazione del loro rapporto con l'istituzione scolastica: in questo senso, definire la scuola come "tappa obbligatoria" (una tendenza che cresce in modo quasi costante dalla prima media alla seconda superiore), non significa considerarla una specie di fato, oscuro e inspiegabile, che si abbatte su ogni singolo indistintamente, bensì come uno step formativo, un dovere introiettato e considerato come un momento, seppure faticoso, di un progetto a lunga scadenza.
Non a caso, tra la prima media e la seconda superiore, cresce senza soluzione di continuità anche la percentuale di chi considera la scuola un investimento per il futuro: dal 21,8% si sale al 38,5%; mentre diminuisce sempre più il numero di chi sostiene che la scuola sia un luogo dove maturare e istruirsi: dal 67,9% si scende al 38,5%.
Quest'ultimo segnale non deve spaventarci e indurci a pensare che l'istituzione scolastica stia perdendo la sua funzione di supporto alla costruzione dell'identità personale e sociale: più semplicemente, i ragazzi tendono ad assegnare soprattutto alla scuola dell'obbligo quel ruolo di educazione all'intersoggettività che in seguito, durante l'adolescenza, viene demandato ad esperienze extra-familiari ed extra-scolastiche; all'istruzione secondaria superiore, invece, i ragazzi sembrano chiedere una forma di conoscenza funzionale al loro avvenire professionale, e non un sapere puro e fine a se stesso. Questa visione economico-razionale dell'istituzione scolastica - che in seconda superiore riscuote la stessa percentuale di consensi dell'istruzione intesa come veicolo di crescita e maturazione - fa pensare che gli studenti non siano refrattari ad una maggiore integrazione e ad una più marcata armonizzazione tra la scuola, il mondo del lavoro e le richieste del mercato.
In questa direzione si orienta anche quel 29% del campione che effettuerebbe esperienze lavorative già durante il percorso dei propri studi, coerentemente con il quadro politico e culturale attuale in cui si inserisce, ad esempio, la proposta dell'alternanza tra periodi di studio e periodi di lavoro (contenuta nella legge delega sulla riforma della scuola). Non è escluso che simili iniziative, che creano un ponte tra sistema educativo e mercato del lavoro, e accentuano la valenza occupazionale dell'istituzione scolastica, possano produrre un rafforzamento della motivazione allo studio ed un argine al fenomeno della dispersione.
La concezione "utilitaristica" della scuola come investimento sembra riscuotere maggiore successo tra i ragazzi che tra le ragazze. Il 60,3% delle studentesse assegna all'istruzione un valore eminentemente sociale e civile, di contro al 40,5% degli studenti maschi: una percentuale - quest'ultima - di poco superiore a quel 37,3% di ragazzi che apprezza soprattutto i vantaggi futuri del percorso scolastico. Coerentemente con la loro visione etico-normativa della scuola, le studentesse esprimono con più facilità dei ragazzi giudizi negativi su chi non studia e sui fenomeni di dispersione scolastica.
Problematico appare il rapporto con gli immigrati, che suscitano reazioni positive nel 59,4% degli intervistati e negative in un buon 38,9% dei casi. Nel complesso, le ragazze sembrano molto più sensibili dei ragazzi al confronto culturale con gli stranieri: la maggioranza di loro (il 50,9%), infatti, sottolinea l'importanza che gli immigrati rivestono per la conoscenza di stili di vita diversi dal nostro, e il 20,7% li definisce un arricchimento per la nostra cultura; segue un 16,8% che si ritiene minacciato dal punto di vista lavorativo, mentre solo il 6,5% del campione femminile considera lo straniero un pericolo.
L'opinione degli studenti maschi, invece, sembra polarizzarsi intorno a due posizioni contrapposte: gli immigrati rappresentano in pari misura un pericolo (15,6%) ed un arricchimento per la nostra cultura (15,9%), e la percentuale di chi si dichiara incuriosito dalla diversità di cui lo straniero è portatore (il 29,2%) non si discosta molto da quel 26,3% di chi sottolinea la presunta insidia occupazionale rappresentata dall'immigrazione.
Nel complesso, dunque, le sacche di resistenza al confronto interculturale sono notevoli; se a queste si aggiungono gli episodi di razzismo/discriminazione nei confronti di alunni stranieri, a cui il 19,3% degli intervistati dichiara di aver assistito, si ottengono sufficienti elementi di valutazione per interpretare il fenomeno della dispersione scolastica tra gli immigrati.
Per quanto riguarda il grado di motivazione allo studio espresso dagli intervistati, si sono registrati alcuni segnali negativi. Un buon 13,1% degli studenti ha infatti dichiarato che, potendo scegliere, preferirebbe smettere di studiare e cominciare a lavorare; questa risposta presenta un certo grado di definizione ed esprime una qualche articolazione progettuale, pertanto risulta più attendibile - e dunque più facilmente interpretabile come preludio alla dispersione scolastica - di quella fornita dal 10,4% del campione, che vagheggia la più totale inattività.
Un dato confortante emerge dall'analisi dei principali motivi di scelta della scuola superiore: il 38,9% dei ragazzi segue le proprie inclinazioni e passioni, il 25,9% pianifica gli studi secondari in base alle prospettive occupazionali ed il 16,4% in base ai futuri studi universitari. Solo un trascurabile 0,7% dichiara di aver subìto imposizioni esterne, presumibilmente familiari. Dunque sembrerebbe difficile, stando alle risposte fornite dal campione, poter includere le interferenze genitoriali ed il boicottaggio delle naturali predisposizioni dei figli nell'eziologia del fenomeno della dispersione.
I genitori non mancano, tuttavia, di esercitare la propria influenza sulle modalità di prosecuzione degli studi, anche se non in modo imperativo, e soprattutto sui ragazzi, dei quali il 24,5% segnala la presenza di condizionamenti familiari. Le ragazze, invece, dimostrano una maggiore risolutezza ed una autonomia più spiccata dei ragazzi nella scelta della scuola superiore: il 63,7% di loro dichiara di non subire alcuna influenza (di contro al 57,9% dei ragazzi), mentre il 17,1% indica un condizionamento familiare; il consiglio degli amici, per loro, ha meno importanza che per i ragazzi, anche se non di molto (il 10,7% di contro all'11,6% del campione maschile); più degli studenti maschi, inoltre, tendono ad attribuire credibilità agli esperti, cioè agli insegnanti, di cui ascoltano volentieri i suggerimenti sull'indirizzo scolastico.
Anche la variabile della condizione economica dei genitori sembra orientare la scelta della scuola superiore: i figli provenienti da famiglie di status medio e alto sembrano più propensi a seguire le loro reali inclinazioni e passioni personali (rispettivamente nel 44,6% e nel 38,3% dei casi, di contro al 32,4% degli studenti di bassa estrazione economica); oppure sono portati a compiere le loro scelte in coerenza con il corso di laurea che hanno già deciso di frequentare in futuro. I figli di lavoratori di status basso, invece, sembrano privilegiare considerazioni di tipo occupazionale (nel 34,7% dei casi, di contro al 21% dei ragazzi di elevata estrazione sociale e al 21,5% di quelli provenienti dalla classe media); e lo conferma anche la maggiore frequenza con cui dichiarano di voler smettere di studiare per cominciare a lavorare.
Tra le aree prese in esame dalla rilevazione, quella del rapporto con gli insegnanti non sembra lanciare segnali di profondo disagio. Ben 83,9 alunni su 100, infatti, definiscono "amichevole" l'atteggiamento dei docenti nei loro confronti. È pur vero che la maggior parte dei ragazzi non si sente sollecitata ad affrontare con gli insegnanti questioni di carattere personale, ma questo si verifica indipendentemente dalla maggiore o minore cordialità dei rapporti tra allievi e docenti, e sembra essere piuttosto collegato al livello di scolarizzazione dei genitori e al loro status lavorativo: quanto più sono elevate la condizione socio-economica e la preparazione culturale dei genitori, tanto meno i ragazzi si dichiarano disponibili ad un dialogo confidenziale con i docenti, probabilmente perché in famiglia trovano competenze allargate a cui fare ricorso per risolvere i loro problemi. Sono pertanto, con una certa prevalenza, i figli di genitori di bassa estrazione economica e - soprattutto - culturale ad assegnare al corpo docente una missione extra-didattica ed una funzione vicaria di supporto psicologico.
Per quanto riguarda alcuni segnali critici (numero di assenze, motivazioni delle assenze e frequenza delle bocciature), si possono notare interessanti convergenze tra gli alunni di bassa estrazione sociale e quelli provenienti da famiglie di status economico elevato: sia gli uni che gli altri totalizzano più di 7 assenze al mese con frequenza maggiore rispetto agli alunni di ceto medio; più facilmente, inoltre, adducono motivazioni di scarsa importanza (come la stanchezza o la scarsa voglia) per spiegare le assenze, e vanno incontro alla bocciatura in un maggior numero di casi. Questo induce a pensare che le famiglie di ceto medio, a differenza delle altre, esercitino un controllo efficace sui propri figli, seguendo da vicino il loro effettivo comportamento scolastico.
Un ultimo dato merita una segnalazione: rispetto alle altre province italiane, quella di Viterbo registra la più alta percentuale di studenti che reputano la scuola una perdita di tempo e che vorrebbero smettere di studiare per cominciare a lavorare; inoltre, gli alunni viterbesi giudicano autodistruttivo il comportamento di chi abbandona la scuola con minore frequenza che altrove. Ciò non significa, tuttavia, che questi giudizi si tradurranno automaticamente in altrettanti casi di dispersione scolastica: le situazioni di disagio evidenziate dagli alunni sottoposti alla rilevazione non devono essere considerate deterministicamente come cause necessitanti ed infallibili dell'abbandono scolastico, bensì, più semplicemente, come precondizioni che inclinano e predispongono alla dispersione.
L’ingresso del concetto di flessibilità nel mercato del lavoro italiano avvenuta dal 1997 in poi ha evidenziato un crescente numero di transizioni da un posto di lavoro all’altro ed il rischio della permanenza in lavori non stabili, che condiziona i progetti di vita creando instabilità e ritardando le scelte di emancipazione dalla famiglia di origine e di procreazione.
La crisi economica attuale ha prodotto una disoccupazione senza precedenti. Il tasso di disoccupazione giovanile sfiora ormai il 40% della popolazione attiva in età da lavoro. C’è disomogeneità nei dati relativi alla distribuzione dei disoccupati nelle diverse aree geografiche del nostro paese, concentrati per lo più ovviamente al sud.
La certezza del lavoro è certamente una condizione che incide positivamente nella vita delle persone e a maggior ragione nella vita di un giovane che deve guardare al suo futuro con fiducia sapendo che l’impegno e il lavoro sono la cura per allontanare il disagio.
Ormai il nucleo forte del diritto del lavoro protegge i pochi ed esclude i molti. I pochi sono le generazioni mature e i gruppi già forti, mentre i molti sono le generazioni giovani, i lavoratori marginali, gli immigrati, i deboli.
La scuola si trova di fronte alla complessità strettamente legata ai continui cambiamenti che interessano i più giovani, alla necessità di coordinare il proprio intervento alle linee educative sperimentate in ambito familiare, a motivare i ragazzi rispetto all’importante obiettivo di presidiare responsabilmente il proprio iter evolutivo. Agli adulti spettano, peraltro, il compito e la responsabilità di indicare la funzionalità ed il valore del vivere civile, del rispetto reciproco, della convivenza improntata al mutuo soccorso. La scuola, la famiglia e la società sono spesso impreparati di fronte a questo compito, o semplicemente sperimentano una serie di difficoltà, arrivando ad abdicare al ruolo educativo e formativo, tanto più in situazioni che si definiscono nel tempo come sempre più gravi e urgenti, richiedendo risposte improrogabili. Lavorare nella direzione della responsabilizzazione e partecipazione attraverso uno strumento ad hoc permette, dunque, all’adulto di svolgere appieno il proprio ruolo di facilitatore del processo di crescita, spostando il focus dell’attenzione dal controllo al monitoraggio, dall’atteggiamento normativo all’affiancamento collaborativo, dallo scontro con le difficoltà alla gestione dei problemi. La scuola ha il compito di trasmettere le regole sociali, promuovendo e sostenendo l’acquisizione di modelli valoriali e comportamentali. Affinché tale funzione venga ottemperata, è essenziale che la scuola stessa riesca a proporre con forza un insieme di regole chiare e condivise - in primis dal mondo degli adulti - che possano esplicitare agli occhi di tutti quali siano i comportamenti adeguati da adottare e quali, invece, sono da considerare riprovevoli o inaccettabili. Appare, infatti, di particolare significatività non incorrere nell’errore di dare per scontate modalità comportamentali che spesso ci si aspetta che i ragazzi conoscano o siano abituati a praticare. In realtà, soprattutto coloro che presentano maggiori problematiche di relazione hanno difficoltà non solo ad introiettare emotivamente le norme di comportamento sociale, ma anche ad inserirle in modo stabile nel proprio range di azioni, e ad autoregolarsi rispetto ad esse. Evidente, allora, il ruolo che gli adulti possono svolgere in tal senso; la possibilità di fungere da modello - accanto ai diversi piani di intervento finalizzati alla promozione di responsabilità rispetto alle proprie azioni - può svolgere una funzione molto importante in termini di attivazione e sviluppo di tutti quei comportamenti rispettosi e coerenti con il vivere civile che appaiono desueti. Anche di fronte ai comportamenti più significativi in termini di rottura delle regole di contesto, il sistema sanzionatorio deve essere integrato il più possibile da strategie che attivino nel ragazzo una motivazione intrinseca a modificare i propri stili relazionali, percependo vantaggi sostanziali, che attengono alla sfera cognitivo-emozionale, e che si traducano in termini di accettazione, contatto, sostegno, possibilità di gestire sentendosi supportato la crisi di sviluppo che si sta attraversando. In tal senso, la responsabilizzazione di tutti i componenti del sistema – non solo i ragazzi, ma anche la scuola e la famiglia – offre ai più giovani la possibilità di sentirsi affiancato e paritario al tempo stesso rispetto alla necessità di mantenere impegni, di comportarsi reciprocamente con rispetto, di condividere una partecipazione responsabile attorno al sistema scolastico più ampio. I presupposti fondanti l’elaborazione e l’applicazione del Patto educativo di corresponsabilità si rifanno alla necessità di mettere appunto nuove e più attuali forme di co-gestione dei modelli educativi da parte della scuola e della famiglia, proprio in virtù della profonda crisi che i tradizionali modelli educativi stanno da tempo attraversando. Lo svolgimento del ruolo educativo mette in difficoltà gli adulti, sempre più consapevoli della necessità di trovare nuove e diverse strategie di responsabilizzazione dei più giovani in forme e modi che siano concordati e co-gestiti. In tal senso, parlare di patto educativo significa mettere in stretta relazione gli adulti che educano e le nuove generazioni, sottolineando la valenza estremamente significativa della responsabilità che lega le generazioni passate a quelle future, ma mettendo anche in primo piano il valore delle comunità educative quali sono la scuola e la famiglia, in termini di contesti fondamentali di crescita, evoluzione e sviluppo nell’intento, da un lato, di sostenere percorsi di educazione e di crescita promozionali in senso evolutivo e, dall’altro, di affrontare concretamente le problematiche più significative che interessano l’ambiente scolastico (si pensi, in proposito, alle situazioni di bullismo). La complessità che connota il più vasto ambito dei modelli educativi è caratterizzata dalla loro criticità legata, spesso, a incoerenza genitoriale, stili di accudimento autoritari e non autorevoli, modelli di attaccamento centrati sull’evitamento del conflitto e la delega educativa; discrasie ed incoerenze tra modelli formativi proposti a scuola e messaggi educativi sperimentati nell’ambito del contesto familiare. Come già descritto più sopra, di fronte ad un mondo giovanile in perenne e continuo cambiamento, il mondo degli adulti può sentirsi sconcertato e incapace di rispondere alla stessa velocità con cui gli stimoli vengono proposti. La scuola avverte, dunque, la necessità di costruire con la famiglia un nuovo e più solido rapporto comunicativo, nell’intento di perseguire sempre meglio l’obiettivo comune dell’educazione e della formazione dei più giovani. In tale cornice si colloca la necessità di condividere un apposito e funzionale patto educativo tra scuola e famiglia, attraverso il quale costruire e consolidare un’alleanza educativa che permetta di far fronte alle continue esigenze di cambiamento manifestate dai più giovani assicurando, al tempo stesso, un’azione educativa coerente e rispondente ai bisogni di crescita responsabile dei ragazzi. Ma tale specifica alleanza deve necessariamente poggiare su una condivisione di intenti, metodi e strumenti educativo-forma-aggettivi. In tale ottica, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha indicato, quale strategia educativa di particolare significatività, la sottoscrizione da parte di genitori e studenti del cosiddetto “Patto Educativo di Corresponsabilità”, coerentemente con i presupposti delineati nel “Regolamento recante modifi - che ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, concernente lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria” e nel Protocollo d’Intesa stipulato 2007 tra il Ministero dell’Istruzione e il Forum delle Associazioni Nazionali dei Genitori. Il Patto Educativo viene, dunque, instaurato sin dalle primissime fasi di ingresso nella scuola - quale è, ad esempio, il momento dell’iscrizione alla specifica istituzione scolastica - e comporta una descrizione e sottoscrizione di specifici e reciproci impegni che legano la scuola, la famiglia, i ragazzi. A grandi linee, tale impegno attiene a diversi, essenziali, livelli di contenuto quali: a) il piano dell’offerta formativa (centrato sulla promozione di benessere e successo dello studente, sulla sua valorizzazione come persona, sulla sua realizzazione umana e culturale; partecipato e sottoscritto dai genitori che si assumono la responsabilità di discuterne con i fi gli; condiviso con gli insegnanti e la famiglia, discutendo collegialmente ogni singolo aspetto di responsabilità); b) l’area della relazionalità (costruzione di un clima orientato al dialogo, all’integrazione, all’accoglienza, al rispetto reciproco e promozione del talento e dell’eccellenza, dei comportamenti solidali, gratuiti, civili; condivisione con i genitori di linee educative comuni, in continuità con l’azione educativa scolastica; stile comportamentale positivo e corretto nei confronti dell’ambiente scolastico da parte degli studenti); c) il tema della partecipazione (ascolto attivo e coinvolgimento di studenti e famiglie, nell’ottica dell’assunzione di responsabilità rispetto al piano formativo; collaborazione attiva delle famiglie e informazione continua circa il percorso didattico educativo dei propri figli; frequenza regolare ai corsi e assolvimento degli impegni di studio, accanto ad un atteggiamento partecipativo e responsabile nei confronti della vita scolastica da parte degli studenti); d) l’ambito più specifico degli interventi educativi (comunicazione costante con le famiglie e mantenimento del rispetto delle norme di comportamento da parte dei ragazzi, con predisposizione di eventuali, adeguati provvedimenti disciplinari; visione delle comunicazioni provenienti dalla scuola, e riflessione critica e costruttiva con i figli circa gli eventuali provvedimenti disciplinari assegnati; comunicazione in famiglia da parte dei ragazzi in merito a quanto espresso dagli insegnanti e promozione di situazioni di integrazione e solidarietà in classe da parte degli studenti). L’utilizzo di tale strumento si traduce in termini di efficienza ed efficacia nel momento in cui la sua applicazione può fare affidamento su una reale e condivisa co-progettazione tra dirigenti, personale docente e non docente e genitori, comportando quale scelta di metodo la necessità di declinare il patto educativo secondo variabili che comprendano criteri quali l’età dei ragazzi, le caratteristiche del contesto scolastico, la natura e tipologia del tessuto sociale e del territorio attraverso e all’interno delle quali le scuole si muovono e interagiscono. In tale ottica, è fondamentale che la scuola accolga e interiorizzi il compito di promuovere e realizzare un coinvolgimento attivo dei ragazzi, che devono essere motivati e responsabilizzati in modo autentico rispetto agli accordi che il patto stesso prevede. Sono i ragazzi, infatti, i primi interlocutori preferenziali del sistema scolastico, nonché i destinatari finali di qualsiasi iniziativa venga presa nel loro, precipuo, interesse. In accordo con tale presupposto, il patto di corresponsabilità si delinea quale strumento plastico, non applicabile asetticamente in modo formale e generico, ma specificamente mirato a costruire percorsi di comunicazione, confronto reciproco, accordo co-costruito consapevolmente e coerentemente con i processi di scelta delle persone che aderiscono responsabilmente ai termini del patto. In tal senso, il patto di corresponsabilità è uno strumento formativo che contiene, in sé, una valenza profondamente educativa, e che rappresenta un modello di relazione partecipata molto simile a quanto avviene, da adulti, nella società più estesa. In un ambiente in cui viene esplicitamente e in maniera condivisa chiesto un sostanziale impegno al ragazzo, alla famiglia, alla scuola, la percezione collettiva del contesto scolastico assume una diversa e più consona luce. Più che apparire autoritaria, la scuola che manifesta concretamente il proprio interesse ad impegnarsi nei confronti degli altri interlocutori recupera automaticamente il carattere di autorevolezza che deve esserle proprio, attraverso l’offerta di un modello di interazione centrato sull’incontro costruttivo tra studenti, genitori ed insegnanti; ispirato alla metodologia del dialogo e della risoluzione concertata dei problemi; identificabile come uno spazio di relazione all’interno del quale è possibile accordarsi, mettersi in gioco e apprendere dall’esperienza. Il recupero dell’autorevolezza così intesa passa anche attraverso la riappropriazione, da parte degli insegnanti, del proprio specifico ruolo formativo e in particolare della didattica, nella rinnovata consapevolezza che l’educazione non è estranea a tutto ciò che attiene all’insegnamento e all’apprendimento, ma “passa” anche attraverso gli aspetti disciplinari. Il significativo rapporto che lega la didattica alla formazione personale appare tanto più efficace quanto più l’approccio alle discipline non è distante dalla vita del ragazzo, dalla forte esigenza di esprimere il “sé”, di realizzare positivamente gli aspetti relazionali e, in questa prospettiva, di aprirsi al dialogo con il territorio, nell’ottica di una sempre più responsabile attenzione ai temi della partecipazione, della cittadinanza, della convivenza civile, della legalità. Di fronte a tali obiettivi, la scuola non può che porsi quale strumento principe di applicazione e trasmissione di buone pratiche che possano diffondersi e legarsi saldamente a processi educativi che facciano leva su di una sinergia di intenti, di metodi e di strumenti. Il Patto educativo che coinvolge la scuola, gli studenti e le loro famiglie costituisce, dunque, il modello di un nuovo modo di rapportarsi e confrontarsi, che può essere inteso in senso più ampio se mirato al coinvolgimento di tutte le istituzioni che svolgono una funzione educativa operanti sul territorio, nell’ottica di implementare un “Patto Educativo Comunitario” che ponga i bambini, i preadolescenti e gli adolescenti al centro di efficaci strategie educative attraverso azioni mirate e tradotte in strumenti e metodi educativi in grado di innescare e consolidare una prassi comunicativa coinvolgente le diverse generazioni, e capace di incidere positivamente nella vita della comunità più estesa.

 

Marfa


 


 

Note:
 







 

 

 

 

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