026 ..:: 23.02.2017 :: 18:30
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SOVERATO :: Secondo i dati rilevati da una ricerca della Uil
Scuola (2001), oggi in Italia l'8,1% degli studenti delle
scuole medie superiori viene bocciato almeno una volta,
mentre il 5,2% non supera, al primo tentativo, l'esame di
maturità. Nelle scuole medie inferiori la metà di coloro che
affrontano l'esame di licenza non va oltre il giudizio
"sufficiente".
La maggior parte degli studenti ripetenti delle scuole medie
superiori vive nelle Isole: il 10,2% degli studenti della
Sicilia e della Sardegna viene bocciato almeno una volta. La
percentuale scende nel Nord-Ovest (8,3%) e nel Centro
(8,1%), assestandosi sui valori più bassi al Sud (7,5%) e al
Nord-Est (7%).
La Sardegna detiene il primato nella classifica nazionale
del maggior numero di bocciati, con una percentuale del
15,2%; seguono la Valle d'Aosta con il 9,8%, la Liguria con
il 9,2%, poi il Lazio e la Sicilia con l'8,8%.
La maggiore frequenza nelle bocciature si registra in
quattro città sarde: Cagliari (16,1%), Oristano (15,5%),
Sassari e Nuoro (14,2%). Nella classifica seguono
Caltanisetta (11,1%), Livorno (10,7%), Rieti (10,3%), Massa,
Palermo e Catania (10%). I migliori risultati si evidenziano
a Macerata (4,4%), Cuneo (4,5%), Piacenza (5%), Terni (5,2%)
e Alessandria (5,3%).
La tipologia di istituto che presenta il maggior numero di
ripetenti è l'istituto d'arte, in cui il 22,4% degli
studenti, ovvero un quinto del totale, deve ripetere l'anno
scolastico almeno una volta. Una situazione simile
caratterizza gli istituti tecnici ed i licei artistici
(20,5%), gli istituti professionali (17,2%) e quelli
magistrali (16,8%); i licei si discostano invece nettamente
da questi dati negativi.
In generale, le pagelle denunciano una preparazione non
brillante degli studenti delle scuole superiori: il 44,9% di
essi ottiene un giudizio "sufficiente", il 24% "buono", il
16,2% "distinto" e soltanto il 14,9% ottiene "ottimo".
Per quanto concerne l'esame di maturità, Agrigento detiene
il primato negativo del maggior numero di bocciati, seguita
da Mantova, Enna, Reggio Calabria e Cosenza.
La Ricerca della Uil Scuola non manca tuttavia di registrare
alcuni elementi moderatamente positivi, come ad esempio
l'attestarsi su livelli "fisiologici" del fenomeno della
dispersione nelle scuole elementari. Anche nelle scuole
secondarie superiori i valori relativi all'a.s. 2000-2001
restano pressoché stabili rispetto all'anno precedente,
mentre invece assumono particolare rilevanza negli istituti
professionali e nelle scuole medie.
Un'indagine campionaria sulla dispersione scolastica è stata
realizzata dall'Ufficio di Statistica del Ministero
dell'Istruzione relativamente all'anno scolastico 2000-01.
La rilevazione riguarda gli studenti di elementari, medie e
superiori che si sono ritirati con atto formale entro i
termini di legge (esclusi quelli che si sono trasferiti ad
altra scuola), gli alunni non valutati agli scrutini finali
a causa dell'elevato numero di assenze, e i ragazzi che sono
usciti dal circuito dell'istruzione dopo l'assolvimento
dell'obbligo scolastico senza però aver conseguito la
licenza media.
L'indagine è basata su un'analisi dei comportamenti di
disagio e disaffezione, che sono gli indicatori più comuni
della dispersione scolastica, e mostra, per quanto riguarda
la situazione della scuola elementare, un picco di abbandono
dello 0,05% riguardante gli alunni "mai frequentanti sebbene
iscritti": nella quasi totalità dei casi si tratta di alunni
nomadi, le cui famiglie decidono di trasferirsi altrove o di
non mandare più i figli a scuola senza darne avviso.
Il dato risultante dagli indicatori di abbandono in senso
stretto, nei cinque anni di corso, è dello 0,07%, pari a
quello dell'anno scolastico 1999-2000, con una flessione
dello 0,10% rispetto all'anno scolastico 1990-91, più
evidente nelle Isole (- 0,36%) e al Sud (- 0,16%).
Una situazione simile si riscontra nelle scuole medie, con
valori però più elevati: nell'a.s. 2000-01, lo 0,31% degli
iscritti (rispetto allo 0,39% dell'anno precedente) ha
abbandonato, con una variazione di -1,09% nell'arco del
decennio. I valori più bassi della dispersione nelle scuole
medie statali si registrano al Nord (0,09%), mentre quelli
più elevati si evidenziano nelle Isole (0,67%) e al Sud
(0,55%); bisogna tuttavia sottolineare che, rispetto all'a.s.
1990-91, in queste due macroregioni si è registrata una
variazione di -2,08% nel primo caso e di -2,01% nel secondo.
La maggiore concentrazione di abbandoni (0,22% nazionale) si
verifica tra gli alunni "mai frequentanti sebbene iscritti",
con punte dello 0,49% nelle Isole e dello 0,40% al Sud.
Nella scuola secondaria superiore, gli studenti non valutati
perché ritirati ufficialmente nell'a.s. 2000-2001 sono stati
il 2,8% degli iscritti (contro il 3% dell'anno precedente);
a questi si aggiunge l'1,8% riferito a studenti non valutati
per altri motivi (salute, assenze, mancata frequenza).
Per l'anno scolastico in questione, la dispersione risulta
più pesante negli istituti professionali (8,7%) e negli
istituti d'arte (6%). Il rischio di abbandono è presente
soprattutto nel primo anno di corso, su tutto il territorio
nazionale: risulta disperso infatti il 6,7% degli iscritti,
con punte del 9,6% nelle scuole delle Isole e dell'8,5% in
quelle del Sud. Nell'a.s. 2000-2001, la dispersione
scolastica nelle Isole ha fatto registrare valori al di
sopra della media nazionale in ognuna delle tipologie di
scuola secondaria superiore (tranne al liceo scientifico),
con una differenza di ben +3,8 punti percentuali negli
istituti tecnici e di +3 punti negli istituti d'arte. Accade
l'opposto al Nord e al Centro, dove i valori sono sempre al
di sotto della media nazionale, oppure la superano, ma in
misura decisamente trascurabile (come nel caso del liceo
classico e scientifico al Nord e del liceo classico al
Centro). Anche al Sud, la situazione si presenta
sostanzialmente in linea con la media italiana, tranne al
liceo artistico, dove la dispersione scolastica fa
registrare +3,5 punti percentuali in più rispetto ai valori
nazionali.
Secondo i dati diffusi nel dicembre 2001 dal Ministero
dell'Istruzione, e relativi alle scuole statali e non
statali del territorio nazionale, i valori più alti della
dispersione si registrano nelle regioni meridionali e
insulari: al Sud, la percentuale dell'abbandono scolastico
nelle medie corrisponde allo 0,51% (contro lo 0,31% della
media nazionale); alle superiori, la percentuale è
dell'1,15%, mentre il dato italiano si attesta sullo 0,88%;
nelle Isole, lo scarto rispetto ai valori nazionali è ancora
più evidente (0,72% nelle medie e 1,72% alle superiori); i
valori registrati nel Nord-Ovest, nel Nord-Est e nel Centro
sono invece sempre al di sotto della media nazionale, sia
nel caso delle scuole medie che di quelle superiori.
Considerando i dati regionali, in Sardegna si registra la
dispersione massima per le scuole superiori (2,99%, seguita
dalla Liguria con l'1,41% e dalla Campania con l'1,36%); i
valori relativi alle scuole medie, invece, superano la media
nazionale in Sicilia (0,79%), seguita dalla Puglia (0,60%) e
dalla Calabria (0,58%).
Secondo un'indagine Eurostat del 1999, la realtà italiana,
confrontata con la situazione europea, mostra ancora una
volta le pecche e l'inefficienza del suo sistema scolastico:
esaminando la ripartizione della popolazione fra i 25 e i 64
anni nei paesi dell'Unione, si osserva che in Italia oltre
la metà della popolazione (54%) ha solo la licenza media,
mentre nel Regno Unito questa percentuale scende al 19% e in
Germania al 14%. Per quanto concerne l'istruzione secondaria
superiore, solo il 34% degli italiani completa gli studi,
mentre Austria (68%), Germania (61%) e Regno Unito (57%)
hanno standard pari quasi al doppio. Solo l'11% della
popolazione italiana, infine, consegue la laurea, rispetto
al 27% dell'Olanda, al 17% di Spagna e Danimarca e al 16%
del Lussemburgo.
L'indagine Eurispes
L'Eurispes, in collaborazione con il Master Europeo in
Gestione di Impresa Cinematografica e Audiovisiva ha svolto
un'indagine campionaria su 800 studenti delle scuole medie e
del biennio superiore. La ricerca ha preso in esame il
rapporto degli intervistati con l'istituzione scolastica nel
suo complesso, nell'intento di individuare nuclei
problematici in cui possano annidarsi potenziali fenomeni di
dispersione scolastica.
Dall'indagine Eurispes emergono alcuni segnali che, per la
loro esemplarità e la loro valenza conoscitiva, possono
efficacemente inserirsi nel dibattito nazionale sulla
modernizzazione dell'istituzione scolastica e sulla
necessità di adeguare la qualità dell'offerta formativa alle
richieste dell'utenza e del mercato del lavoro.
In merito al significato dell'esperienza scolastica, i
ragazzi sembrano esprimere un'opinione contraddittoria: ne
avvertono l'importanza (come occasione di crescita e come
investimento per il futuro), ma anche l'onere, se è vero che
il 33,8% di quegli alunni che pure si dichiarano consapevoli
dell'utilità della scuola per il loro avvenire, guarda con
una sorta di invidia a coloro che abbandonano la scuola,
giudicandoli "liberi", forse perché sordi al richiamo
interiore del dovere o alle ambizioni inculcate dalla
società o dalla famiglia.
Questo atteggiamento si accentua nel passaggio dalle medie
al primo anno delle superiori: chi non studia viene definito
una persona libera dal 5,2% degli alunni di prima media e
dal 16,9% degli intervistati in prima superiore; lo stesso
giudizio viene espresso riguardo a chi abbandona la scuola
dal 7,6% degli intervistati in prima media, ma la
percentuale sale di ben 12,7 punti in prima superiore. Chi
non studia fa del male a se stesso per l'80,5% degli alunni
di prima media, ma in prima superiore la percentuale
precipita al 68,4%. Questi dati concordano con l'incremento
del numero dei ripetenti e della dispersione scolastica che
si registrano nelle fasi di passaggio da un ciclo di studi
ad un altro.
Bisogna tuttavia sottolineare che, nel passaggio dalla prima
alla seconda superiore, aumenta la percentuale di alunni che
giudicano autodistruttivo il comportamento di chi si sottrae
allo studio (+7 punti) o abbandona la scuola (+7,3);
parallelamente, queste scelte vengono considerate sempre
meno come espressioni della libertà individuale: scende,
infatti, dal 20,3% al 15,6% il numero di chi reputa "libero"
chi non studia e crolla dal 16,9% al 6,2% la percentuale di
chi considera l'abbandono scolastico come una forma di
emancipazione da doveri imposti dall'esterno e mai
interiorizzati.
Sembra dunque che, superata la fase critica e disorientante
dell'accesso al ciclo di istruzione successivo (con la mole
di lavoro e responsabilità aggiuntive che questo comporta),
gli studenti si incamminino verso una progressiva
armonizzazione del loro rapporto con l'istituzione
scolastica: in questo senso, definire la scuola come "tappa
obbligatoria" (una tendenza che cresce in modo quasi
costante dalla prima media alla seconda superiore), non
significa considerarla una specie di fato, oscuro e
inspiegabile, che si abbatte su ogni singolo
indistintamente, bensì come uno step formativo, un dovere
introiettato e considerato come un momento, seppure
faticoso, di un progetto a lunga scadenza.
Non a caso, tra la prima media e la seconda superiore,
cresce senza soluzione di continuità anche la percentuale di
chi considera la scuola un investimento per il futuro: dal
21,8% si sale al 38,5%; mentre diminuisce sempre più il
numero di chi sostiene che la scuola sia un luogo dove
maturare e istruirsi: dal 67,9% si scende al 38,5%.
Quest'ultimo segnale non deve spaventarci e indurci a
pensare che l'istituzione scolastica stia perdendo la sua
funzione di supporto alla costruzione dell'identità
personale e sociale: più semplicemente, i ragazzi tendono ad
assegnare soprattutto alla scuola dell'obbligo quel ruolo di
educazione all'intersoggettività che in seguito, durante
l'adolescenza, viene demandato ad esperienze extra-familiari
ed extra-scolastiche; all'istruzione secondaria superiore,
invece, i ragazzi sembrano chiedere una forma di conoscenza
funzionale al loro avvenire professionale, e non un sapere
puro e fine a se stesso. Questa visione economico-razionale
dell'istituzione scolastica - che in seconda superiore
riscuote la stessa percentuale di consensi dell'istruzione
intesa come veicolo di crescita e maturazione - fa pensare
che gli studenti non siano refrattari ad una maggiore
integrazione e ad una più marcata armonizzazione tra la
scuola, il mondo del lavoro e le richieste del mercato.
In questa direzione si orienta anche quel 29% del campione
che effettuerebbe esperienze lavorative già durante il
percorso dei propri studi, coerentemente con il quadro
politico e culturale attuale in cui si inserisce, ad
esempio, la proposta dell'alternanza tra periodi di studio e
periodi di lavoro (contenuta nella legge delega sulla
riforma della scuola). Non è escluso che simili iniziative,
che creano un ponte tra sistema educativo e mercato del
lavoro, e accentuano la valenza occupazionale
dell'istituzione scolastica, possano produrre un
rafforzamento della motivazione allo studio ed un argine al
fenomeno della dispersione.
La concezione "utilitaristica" della scuola come
investimento sembra riscuotere maggiore successo tra i
ragazzi che tra le ragazze. Il 60,3% delle studentesse
assegna all'istruzione un valore eminentemente sociale e
civile, di contro al 40,5% degli studenti maschi: una
percentuale - quest'ultima - di poco superiore a quel 37,3%
di ragazzi che apprezza soprattutto i vantaggi futuri del
percorso scolastico. Coerentemente con la loro visione
etico-normativa della scuola, le studentesse esprimono con
più facilità dei ragazzi giudizi negativi su chi non studia
e sui fenomeni di dispersione scolastica.
Problematico appare il rapporto con gli immigrati, che
suscitano reazioni positive nel 59,4% degli intervistati e
negative in un buon 38,9% dei casi. Nel complesso, le
ragazze sembrano molto più sensibili dei ragazzi al
confronto culturale con gli stranieri: la maggioranza di
loro (il 50,9%), infatti, sottolinea l'importanza che gli
immigrati rivestono per la conoscenza di stili di vita
diversi dal nostro, e il 20,7% li definisce un arricchimento
per la nostra cultura; segue un 16,8% che si ritiene
minacciato dal punto di vista lavorativo, mentre solo il
6,5% del campione femminile considera lo straniero un
pericolo.
L'opinione degli studenti maschi, invece, sembra
polarizzarsi intorno a due posizioni contrapposte: gli
immigrati rappresentano in pari misura un pericolo (15,6%)
ed un arricchimento per la nostra cultura (15,9%), e la
percentuale di chi si dichiara incuriosito dalla diversità
di cui lo straniero è portatore (il 29,2%) non si discosta
molto da quel 26,3% di chi sottolinea la presunta insidia
occupazionale rappresentata dall'immigrazione.
Nel complesso, dunque, le sacche di resistenza al confronto
interculturale sono notevoli; se a queste si aggiungono gli
episodi di razzismo/discriminazione nei confronti di alunni
stranieri, a cui il 19,3% degli intervistati dichiara di
aver assistito, si ottengono sufficienti elementi di
valutazione per interpretare il fenomeno della dispersione
scolastica tra gli immigrati.
Per quanto riguarda il grado di motivazione allo studio
espresso dagli intervistati, si sono registrati alcuni
segnali negativi. Un buon 13,1% degli studenti ha infatti
dichiarato che, potendo scegliere, preferirebbe smettere di
studiare e cominciare a lavorare; questa risposta presenta
un certo grado di definizione ed esprime una qualche
articolazione progettuale, pertanto risulta più attendibile
- e dunque più facilmente interpretabile come preludio alla
dispersione scolastica - di quella fornita dal 10,4% del
campione, che vagheggia la più totale inattività.
Un dato confortante emerge dall'analisi dei principali
motivi di scelta della scuola superiore: il 38,9% dei
ragazzi segue le proprie inclinazioni e passioni, il 25,9%
pianifica gli studi secondari in base alle prospettive
occupazionali ed il 16,4% in base ai futuri studi
universitari. Solo un trascurabile 0,7% dichiara di aver
subìto imposizioni esterne, presumibilmente familiari.
Dunque sembrerebbe difficile, stando alle risposte fornite
dal campione, poter includere le interferenze genitoriali ed
il boicottaggio delle naturali predisposizioni dei figli
nell'eziologia del fenomeno della dispersione.
I genitori non mancano, tuttavia, di esercitare la propria
influenza sulle modalità di prosecuzione degli studi, anche
se non in modo imperativo, e soprattutto sui ragazzi, dei
quali il 24,5% segnala la presenza di condizionamenti
familiari. Le ragazze, invece, dimostrano una maggiore
risolutezza ed una autonomia più spiccata dei ragazzi nella
scelta della scuola superiore: il 63,7% di loro dichiara di
non subire alcuna influenza (di contro al 57,9% dei
ragazzi), mentre il 17,1% indica un condizionamento
familiare; il consiglio degli amici, per loro, ha meno
importanza che per i ragazzi, anche se non di molto (il
10,7% di contro all'11,6% del campione maschile); più degli
studenti maschi, inoltre, tendono ad attribuire credibilità
agli esperti, cioè agli insegnanti, di cui ascoltano
volentieri i suggerimenti sull'indirizzo scolastico.
Anche la variabile della condizione economica dei genitori
sembra orientare la scelta della scuola superiore: i figli
provenienti da famiglie di status medio e alto sembrano più
propensi a seguire le loro reali inclinazioni e passioni
personali (rispettivamente nel 44,6% e nel 38,3% dei casi,
di contro al 32,4% degli studenti di bassa estrazione
economica); oppure sono portati a compiere le loro scelte in
coerenza con il corso di laurea che hanno già deciso di
frequentare in futuro. I figli di lavoratori di status
basso, invece, sembrano privilegiare considerazioni di tipo
occupazionale (nel 34,7% dei casi, di contro al 21% dei
ragazzi di elevata estrazione sociale e al 21,5% di quelli
provenienti dalla classe media); e lo conferma anche la
maggiore frequenza con cui dichiarano di voler smettere di
studiare per cominciare a lavorare.
Tra le aree prese in esame dalla rilevazione, quella del
rapporto con gli insegnanti non sembra lanciare segnali di
profondo disagio. Ben 83,9 alunni su 100, infatti,
definiscono "amichevole" l'atteggiamento dei docenti nei
loro confronti. È pur vero che la maggior parte dei ragazzi
non si sente sollecitata ad affrontare con gli insegnanti
questioni di carattere personale, ma questo si verifica
indipendentemente dalla maggiore o minore cordialità dei
rapporti tra allievi e docenti, e sembra essere piuttosto
collegato al livello di scolarizzazione dei genitori e al
loro status lavorativo: quanto più sono elevate la
condizione socio-economica e la preparazione culturale dei
genitori, tanto meno i ragazzi si dichiarano disponibili ad
un dialogo confidenziale con i docenti, probabilmente perché
in famiglia trovano competenze allargate a cui fare ricorso
per risolvere i loro problemi. Sono pertanto, con una certa
prevalenza, i figli di genitori di bassa estrazione
economica e - soprattutto - culturale ad assegnare al corpo
docente una missione extra-didattica ed una funzione vicaria
di supporto psicologico.
Per quanto riguarda alcuni segnali critici (numero di
assenze, motivazioni delle assenze e frequenza delle
bocciature), si possono notare interessanti convergenze tra
gli alunni di bassa estrazione sociale e quelli provenienti
da famiglie di status economico elevato: sia gli uni che gli
altri totalizzano più di 7 assenze al mese con frequenza
maggiore rispetto agli alunni di ceto medio; più facilmente,
inoltre, adducono motivazioni di scarsa importanza (come la
stanchezza o la scarsa voglia) per spiegare le assenze, e
vanno incontro alla bocciatura in un maggior numero di casi.
Questo induce a pensare che le famiglie di ceto medio, a
differenza delle altre, esercitino un controllo efficace sui
propri figli, seguendo da vicino il loro effettivo
comportamento scolastico.
Un ultimo dato merita una segnalazione: rispetto alle altre
province italiane, quella di Viterbo registra la più alta
percentuale di studenti che reputano la scuola una perdita
di tempo e che vorrebbero smettere di studiare per
cominciare a lavorare; inoltre, gli alunni viterbesi
giudicano autodistruttivo il comportamento di chi abbandona
la scuola con minore frequenza che altrove. Ciò non
significa, tuttavia, che questi giudizi si tradurranno
automaticamente in altrettanti casi di dispersione
scolastica: le situazioni di disagio evidenziate dagli
alunni sottoposti alla rilevazione non devono essere
considerate deterministicamente come cause necessitanti ed
infallibili dell'abbandono scolastico, bensì, più
semplicemente, come precondizioni che inclinano e
predispongono alla dispersione.
L’ingresso del concetto di flessibilità nel mercato del
lavoro italiano avvenuta dal 1997 in poi ha evidenziato un
crescente numero di transizioni da un posto di lavoro
all’altro ed il rischio della permanenza in lavori non
stabili, che condiziona i progetti di vita creando
instabilità e ritardando le scelte di emancipazione dalla
famiglia di origine e di procreazione.
La crisi economica attuale ha prodotto una disoccupazione
senza precedenti. Il tasso di disoccupazione giovanile
sfiora ormai il 40% della popolazione attiva in età da
lavoro. C’è disomogeneità nei dati relativi alla
distribuzione dei disoccupati nelle diverse aree geografiche
del nostro paese, concentrati per lo più ovviamente al sud.
La certezza del lavoro è certamente una condizione che
incide positivamente nella vita delle persone e a maggior
ragione nella vita di un giovane che deve guardare al suo
futuro con fiducia sapendo che l’impegno e il lavoro sono la
cura per allontanare il disagio.
Ormai il nucleo forte del diritto del lavoro protegge i
pochi ed esclude i molti. I pochi sono le generazioni mature
e i gruppi già forti, mentre i molti sono le generazioni
giovani, i lavoratori marginali, gli immigrati, i deboli.
La scuola si trova di fronte alla complessità strettamente
legata ai continui cambiamenti che interessano i più
giovani, alla necessità di coordinare il proprio intervento
alle linee educative sperimentate in ambito familiare, a
motivare i ragazzi rispetto all’importante obiettivo di
presidiare responsabilmente il proprio iter evolutivo. Agli
adulti spettano, peraltro, il compito e la responsabilità di
indicare la funzionalità ed il valore del vivere civile, del
rispetto reciproco, della convivenza improntata al mutuo
soccorso. La scuola, la famiglia e la società sono spesso
impreparati di fronte a questo compito, o semplicemente
sperimentano una serie di difficoltà, arrivando ad abdicare
al ruolo educativo e formativo, tanto più in situazioni che
si definiscono nel tempo come sempre più gravi e urgenti,
richiedendo risposte improrogabili. Lavorare nella direzione
della responsabilizzazione e partecipazione attraverso uno
strumento ad hoc permette, dunque, all’adulto di svolgere
appieno il proprio ruolo di facilitatore del processo di
crescita, spostando il focus dell’attenzione dal controllo
al monitoraggio, dall’atteggiamento normativo
all’affiancamento collaborativo, dallo scontro con le
difficoltà alla gestione dei problemi. La scuola ha il
compito di trasmettere le regole sociali, promuovendo e
sostenendo l’acquisizione di modelli valoriali e
comportamentali. Affinché tale funzione venga ottemperata, è
essenziale che la scuola stessa riesca a proporre con forza
un insieme di regole chiare e condivise - in primis dal
mondo degli adulti - che possano esplicitare agli occhi di
tutti quali siano i comportamenti adeguati da adottare e
quali, invece, sono da considerare riprovevoli o
inaccettabili. Appare, infatti, di particolare
significatività non incorrere nell’errore di dare per
scontate modalità comportamentali che spesso ci si aspetta
che i ragazzi conoscano o siano abituati a praticare. In
realtà, soprattutto coloro che presentano maggiori
problematiche di relazione hanno difficoltà non solo ad
introiettare emotivamente le norme di comportamento sociale,
ma anche ad inserirle in modo stabile nel proprio range di
azioni, e ad autoregolarsi rispetto ad esse. Evidente,
allora, il ruolo che gli adulti possono svolgere in tal
senso; la possibilità di fungere da modello - accanto ai
diversi piani di intervento finalizzati alla promozione di
responsabilità rispetto alle proprie azioni - può svolgere
una funzione molto importante in termini di attivazione e
sviluppo di tutti quei comportamenti rispettosi e coerenti
con il vivere civile che appaiono desueti. Anche di fronte
ai comportamenti più significativi in termini di rottura
delle regole di contesto, il sistema sanzionatorio deve
essere integrato il più possibile da strategie che attivino
nel ragazzo una motivazione intrinseca a modificare i propri
stili relazionali, percependo vantaggi sostanziali, che
attengono alla sfera cognitivo-emozionale, e che si
traducano in termini di accettazione, contatto, sostegno,
possibilità di gestire sentendosi supportato la crisi di
sviluppo che si sta attraversando. In tal senso, la
responsabilizzazione di tutti i componenti del sistema – non
solo i ragazzi, ma anche la scuola e la famiglia – offre ai
più giovani la possibilità di sentirsi affiancato e
paritario al tempo stesso rispetto alla necessità di
mantenere impegni, di comportarsi reciprocamente con
rispetto, di condividere una partecipazione responsabile
attorno al sistema scolastico più ampio. I presupposti
fondanti l’elaborazione e l’applicazione del Patto educativo
di corresponsabilità si rifanno alla necessità di mettere
appunto nuove e più attuali forme di co-gestione dei modelli
educativi da parte della scuola e della famiglia, proprio in
virtù della profonda crisi che i tradizionali modelli
educativi stanno da tempo attraversando. Lo svolgimento del
ruolo educativo mette in difficoltà gli adulti, sempre più
consapevoli della necessità di trovare nuove e diverse
strategie di responsabilizzazione dei più giovani in forme e
modi che siano concordati e co-gestiti. In tal senso,
parlare di patto educativo significa mettere in stretta
relazione gli adulti che educano e le nuove generazioni,
sottolineando la valenza estremamente significativa della
responsabilità che lega le generazioni passate a quelle
future, ma mettendo anche in primo piano il valore delle
comunità educative quali sono la scuola e la famiglia, in
termini di contesti fondamentali di crescita, evoluzione e
sviluppo nell’intento, da un lato, di sostenere percorsi di
educazione e di crescita promozionali in senso evolutivo e,
dall’altro, di affrontare concretamente le problematiche più
significative che interessano l’ambiente scolastico (si
pensi, in proposito, alle situazioni di bullismo). La
complessità che connota il più vasto ambito dei modelli
educativi è caratterizzata dalla loro criticità legata,
spesso, a incoerenza genitoriale, stili di accudimento
autoritari e non autorevoli, modelli di attaccamento
centrati sull’evitamento del conflitto e la delega
educativa; discrasie ed incoerenze tra modelli formativi
proposti a scuola e messaggi educativi sperimentati
nell’ambito del contesto familiare. Come già descritto più
sopra, di fronte ad un mondo giovanile in perenne e continuo
cambiamento, il mondo degli adulti può sentirsi sconcertato
e incapace di rispondere alla stessa velocità con cui gli
stimoli vengono proposti. La scuola avverte, dunque, la
necessità di costruire con la famiglia un nuovo e più solido
rapporto comunicativo, nell’intento di perseguire sempre
meglio l’obiettivo comune dell’educazione e della formazione
dei più giovani. In tale cornice si colloca la necessità di
condividere un apposito e funzionale patto educativo tra
scuola e famiglia, attraverso il quale costruire e
consolidare un’alleanza educativa che permetta di far fronte
alle continue esigenze di cambiamento manifestate dai più
giovani assicurando, al tempo stesso, un’azione educativa
coerente e rispondente ai bisogni di crescita responsabile
dei ragazzi. Ma tale specifica alleanza deve necessariamente
poggiare su una condivisione di intenti, metodi e strumenti
educativo-forma-aggettivi. In tale ottica, il Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha
indicato, quale strategia educativa di particolare
significatività, la sottoscrizione da parte di genitori e
studenti del cosiddetto “Patto Educativo di
Corresponsabilità”, coerentemente con i presupposti
delineati nel “Regolamento recante modifi - che ed
integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 24
giugno 1998, n. 249, concernente lo Statuto delle
studentesse e degli studenti della scuola secondaria” e nel
Protocollo d’Intesa stipulato 2007 tra il Ministero
dell’Istruzione e il Forum delle Associazioni Nazionali dei
Genitori. Il Patto Educativo viene, dunque, instaurato sin
dalle primissime fasi di ingresso nella scuola - quale è, ad
esempio, il momento dell’iscrizione alla specifica
istituzione scolastica - e comporta una descrizione e
sottoscrizione di specifici e reciproci impegni che legano
la scuola, la famiglia, i ragazzi. A grandi linee, tale
impegno attiene a diversi, essenziali, livelli di contenuto
quali: a) il piano dell’offerta formativa (centrato sulla
promozione di benessere e successo dello studente, sulla sua
valorizzazione come persona, sulla sua realizzazione umana e
culturale; partecipato e sottoscritto dai genitori che si
assumono la responsabilità di discuterne con i fi gli;
condiviso con gli insegnanti e la famiglia, discutendo
collegialmente ogni singolo aspetto di responsabilità); b)
l’area della relazionalità (costruzione di un clima
orientato al dialogo, all’integrazione, all’accoglienza, al
rispetto reciproco e promozione del talento e
dell’eccellenza, dei comportamenti solidali, gratuiti,
civili; condivisione con i genitori di linee educative
comuni, in continuità con l’azione educativa scolastica;
stile comportamentale positivo e corretto nei confronti
dell’ambiente scolastico da parte degli studenti); c) il
tema della partecipazione (ascolto attivo e coinvolgimento
di studenti e famiglie, nell’ottica dell’assunzione di
responsabilità rispetto al piano formativo; collaborazione
attiva delle famiglie e informazione continua circa il
percorso didattico educativo dei propri figli; frequenza
regolare ai corsi e assolvimento degli impegni di studio,
accanto ad un atteggiamento partecipativo e responsabile nei
confronti della vita scolastica da parte degli studenti); d)
l’ambito più specifico degli interventi educativi
(comunicazione costante con le famiglie e mantenimento del
rispetto delle norme di comportamento da parte dei ragazzi,
con predisposizione di eventuali, adeguati provvedimenti
disciplinari; visione delle comunicazioni provenienti dalla
scuola, e riflessione critica e costruttiva con i figli
circa gli eventuali provvedimenti disciplinari assegnati;
comunicazione in famiglia da parte dei ragazzi in merito a
quanto espresso dagli insegnanti e promozione di situazioni
di integrazione e solidarietà in classe da parte degli
studenti). L’utilizzo di tale strumento si traduce in
termini di efficienza ed efficacia nel momento in cui la sua
applicazione può fare affidamento su una reale e condivisa
co-progettazione tra dirigenti, personale docente e non
docente e genitori, comportando quale scelta di metodo la
necessità di declinare il patto educativo secondo variabili
che comprendano criteri quali l’età dei ragazzi, le
caratteristiche del contesto scolastico, la natura e
tipologia del tessuto sociale e del territorio attraverso e
all’interno delle quali le scuole si muovono e
interagiscono. In tale ottica, è fondamentale che la scuola
accolga e interiorizzi il compito di promuovere e realizzare
un coinvolgimento attivo dei ragazzi, che devono essere
motivati e responsabilizzati in modo autentico rispetto agli
accordi che il patto stesso prevede. Sono i ragazzi,
infatti, i primi interlocutori preferenziali del sistema
scolastico, nonché i destinatari finali di qualsiasi
iniziativa venga presa nel loro, precipuo, interesse. In
accordo con tale presupposto, il patto di corresponsabilità
si delinea quale strumento plastico, non applicabile
asetticamente in modo formale e generico, ma specificamente
mirato a costruire percorsi di comunicazione, confronto
reciproco, accordo co-costruito consapevolmente e
coerentemente con i processi di scelta delle persone che
aderiscono responsabilmente ai termini del patto. In tal
senso, il patto di corresponsabilità è uno strumento
formativo che contiene, in sé, una valenza profondamente
educativa, e che rappresenta un modello di relazione
partecipata molto simile a quanto avviene, da adulti, nella
società più estesa. In un ambiente in cui viene
esplicitamente e in maniera condivisa chiesto un sostanziale
impegno al ragazzo, alla famiglia, alla scuola, la
percezione collettiva del contesto scolastico assume una
diversa e più consona luce. Più che apparire autoritaria, la
scuola che manifesta concretamente il proprio interesse ad
impegnarsi nei confronti degli altri interlocutori recupera
automaticamente il carattere di autorevolezza che deve
esserle proprio, attraverso l’offerta di un modello di
interazione centrato sull’incontro costruttivo tra studenti,
genitori ed insegnanti; ispirato alla metodologia del
dialogo e della risoluzione concertata dei problemi;
identificabile come uno spazio di relazione all’interno del
quale è possibile accordarsi, mettersi in gioco e apprendere
dall’esperienza. Il recupero dell’autorevolezza così intesa
passa anche attraverso la riappropriazione, da parte degli
insegnanti, del proprio specifico ruolo formativo e in
particolare della didattica, nella rinnovata consapevolezza
che l’educazione non è estranea a tutto ciò che attiene
all’insegnamento e all’apprendimento, ma “passa” anche
attraverso gli aspetti disciplinari. Il significativo
rapporto che lega la didattica alla formazione personale
appare tanto più efficace quanto più l’approccio alle
discipline non è distante dalla vita del ragazzo, dalla
forte esigenza di esprimere il “sé”, di realizzare
positivamente gli aspetti relazionali e, in questa
prospettiva, di aprirsi al dialogo con il territorio,
nell’ottica di una sempre più responsabile attenzione ai
temi della partecipazione, della cittadinanza, della
convivenza civile, della legalità. Di fronte a tali
obiettivi, la scuola non può che porsi quale strumento
principe di applicazione e trasmissione di buone pratiche
che possano diffondersi e legarsi saldamente a processi
educativi che facciano leva su di una sinergia di intenti,
di metodi e di strumenti. Il Patto educativo che coinvolge
la scuola, gli studenti e le loro famiglie costituisce,
dunque, il modello di un nuovo modo di rapportarsi e
confrontarsi, che può essere inteso in senso più ampio se
mirato al coinvolgimento di tutte le istituzioni che
svolgono una funzione educativa operanti sul territorio,
nell’ottica di implementare un “Patto Educativo Comunitario”
che ponga i bambini, i preadolescenti e gli adolescenti al
centro di efficaci strategie educative attraverso azioni
mirate e tradotte in strumenti e metodi educativi in grado
di innescare e consolidare una prassi comunicativa
coinvolgente le diverse generazioni, e capace di incidere
positivamente nella vita della comunità più estesa.
Marfa
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