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Curiosità pasquali: Le monache pasticciere de '700.

003..:: 04.04.2015

 

 

 

TRINITAPOLI ..:: Qui e là, chi ha conoscenze in qualche monastero femminile, meglio ancora se ha rapporti d’amicizia e parentela con qualche suora che ha l’indirizzo giusto, tra breve vedrà apparire sulla propria tavola una leccornia di non poco conto, e si troverà a riguardare con ammirazione e golosità un bell’agnellino pasquale in tenera “pasta reale”. Una tradizione nata in Sicilia che viene da lontano, almeno dal XVIII, anche se allora non si parlava solo di agnellini pasquali, per la verità!
Nel ‘700, infatti, spesso i nobili siciliani usavano far preparare i dolci per i loro sontuosi pranzi o ricevimenti da mastri pasticceri d'eccezione. Da chi? Dalle suore! Le migliori pasticcerie della città erano infatti i Monasteri e i Conventi, ciascuno dei quali aveva la propria specialità, senza farsi concorrenza. Questa usanza in alcuni Monasteri si è protratta quasi fino ai giorni nostri. Nel Settecento, comunque, pare che la bravura delle suore suscitasse anche gelosia tra i cuochi dei palazzi nobiliari se, come racconta G. Pitrè, al confronto delle suore qualsiasi dolciere doveva andare a nascondersi... (*).
Ciascun Monastero, come sì è detto, aveva un piatto, un manicaretto ch'era un po’ il suo distintivo, quindi anche il dolce speciale solito a farsi. Tutti i pasticcieri della città gareggiavano nel comporre ghiottonerie d'ogni maniera, ma chi poteva mai raggiungere la squisitezza dei frutti di pasta dolce di mandorle del “Monastero della Martorana” (**) o del riso dolce del “Monastero di S. Salvatore”? Tutti preparavano conserve di scorzonera, ma nessuno attingeva alla perfezione come quelle del “Convento di Montevergini”, così come nessuno sapeva fare la “cucuzzata” (zucca condita) e il “bianco mangiare” (specie di gelatina di crema di pollo) meglio del “Monastero di S. Caterina”.
Molti si vantavano del loro “pan di spagna”, ma in confronto a quello del “Monastero della Pietà”, qualunque dolciere che avesse voluto tentare di eguagliarlo avrebbe dovuto vergognarsi, poi v’erano le cosiddette “sfincie fradici” composte da uova e panna, del “Monastero delle Stimmate”. Centinaia di cassate uscivano dal “Convento di Valverde” per la Pasqua (***), e settimane prima, per il Carnevale, migliaia di cannoli di vera ricotta e squisite cassatine venivano fuori dalla “Badia Nuova”, alla quale nessuno poteva negare la palma dell'inaugurazione del calendario dei rituali dolciumi. Se il “Convento di S. Vito” primeggiava con i suoi “agnelli pasquali”, non era da meno quello della “Concezione” con i suoi “muscardini” per il festino di S. Rosalia, o ancora il “Monastero dei Sett'Angeli” con i “mustazzoli”.
Grandeggiavano da ultimi il “Convento di S. Teresa” con le “cassate in freddo” e quello di “S.Vito” col suo sfinciuni, (...) e la pasta con le sarde, piatto nazionale della felicissima nonché golosissima capitale dell'isola. Ma v'erano Monasteri d'origine inferiore che tanto lusso non potevano permettersi, ma anch'essi, nelle loro modesta sfera, avevano le loro specialità, quale per lo “scacciu”: ceci, mandorle, fave, avellane del “Monastero delle Cappuccinelle”, e le “olive ripiene” del “Monastero dell'Assunta”...
E come a lato del male sta sempre il bene così, quasi a rimedio delle indigestioni per le tante cassate, cannoli, frutti, mandorle, c'era la “Badia di S. Rosalia” che compiva il pietoso ufficio di preparare un antiacido medicinale post pranzo di sicurissimo effetto..
Buona Pasqua a tutti!


Matteo de Musso
 


 

NOTE:

(*) G. Pitré, La vita in Palermo cento e più anni fa.
(**) Da qui l’usanza di chiamare la cosiddetta “pasta reale” con il nome di “frutta martorana”.
(***) Pare che siano state proprio le suore del Monastero di Valverde a dare la forma attuale alla cassata, cioè rivestendo la sua superficie con frutta candita.

 

 

 

 

 

 

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