003..::.05.01.2014
..:: SOVERATO (CZ) - L’AUTONOMIA sta cambiando il volto
della scuola italiana: tutta la società politica e civile è
chiamata a dare il proprio contributo e a compiere le
proprie scelte, non solo in ambito legislativo, ma anche e
soprattutto, in ambito educativo. Il patto in educazione che
la scuola è chiamata a definire riflette l’idea di uomo e
cittadino che vuole maturare. A questa definizione occorre
che le varie componenti educative diano il proprio
sostanziale contributo: da qui dipende l’avvenire della
nostra società. Per fronteggiare l’«emergenza educativa» e
contrastare la crisi profonda e globale dei sistemi
educativi, si impongono coraggiose strategie di cambiamento.
Modelli e prassi innovative per la formazione del capitale
umano a cui guardare e riferirsi si dirigono verso una
maggiore attenzione alle performance nel raggiungimento
degli obiettivi e verso una governance basata su un’efficace
sinergia tra i diversi attori coinvolti. Il riferimento alla
legge 15 marzo 1997 n. 59 ed alla sua intestazione “delega
al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle
Regioni ed Enti locali, per la riforma della P.A. e per la
semplificazione amministrativa” è d’obbligo per comprendere
l’anomala (dal punto di vista della tecnica normativa)
inclusione, in essa, dell’art. 21: attribuzione della
personalità giuridica alle delle Istituzioni Scolastiche con
conseguente “investitura” della qualifica dirigenziale e
quanti ne sono posti a capo. Fin dagli anni 90, ma seguendo
un processo già iniziato nei decenni precedenti, il nostro
ordinamento aveva iniziato un percorso “finalizzato ad
attribuire alla Scuola Italiana autonomia di azione, in
campo sia gestionale che didattico, al pari di quanto era
stato da tempo realizzato nei principale paesi
industrializzati Europei” (Trainito: la normativa
sull’autonomia scolastica 2005). I decreti-delegati dal 1974
(confluiti nel T.U. approvato con D.lvo 297/94) restano
un’importante tentativo di modificare l’impianto
verticistico e burocratico (ivi) della Scuola Italiana. Le
vicende politiche e parlamentari non portarono a buon fine i
tentativi di “attribuire alle istituzioni scolastiche spazi
di autonomia organizzativa, didattica e gestionale” (ivi)
fino al 1997 (c.d. Legge Bassanini), benché, sia pure in
maniera surrettizia attraverso le sperimentazioni
didattiche, maxi e mini, assistite e libere, consentite dai
DD Delegati del 1974, ciò sia ampliamente avvenuto. Al di
là, tuttavia, della sua genesi, l’autonomia scolastica è la
realtà con la quale bisogna misurarsi e ciò viene detto non
in negativo, come una iattura abbattutasi e da affrontare,
ma in positivo, poiché trattasi del primo tentativo di
modernizzare tutto il sistema amministrativo “incentrato in
primo luogo sui principi costituzionali dell’autonomia e del
decentramento”. La Costituzione garantisce ai cittadini il
diritto all’ Istruzione; i pubblici poteri ne assicurano la
funzione determinando le politiche scolastiche; le singole
scuole erogano il servizio scolastico. Le istituzioni
scolastiche e quindi gli aspetti organizzativi da esse
erogati, rappresentano, il momento tecnico del servizio
nazionale di istruzione diverso dal momento politico che
elabora le politiche scolastiche attraverso atti di
indirizzo e programmazione. Benché anche nelle istituzioni
scolastiche non manchi il momento politico, riferito alle
comunità di riferimento : come dire che “si tratta comunque
di decisioni necessariamente coerenti con le finalità
nazionali, che rispecchiano l’unitarietà dell’intero
sistema, che si realizza dal livello centrale
dell’Amministrazione a quello periferico delle singole
istituzioni”. (Trainito, op. cit.) Il Piano dell’Offerta
Formativa rappresenta per le istituzioni scolastiche, dotate
di autonomia e quindi di personalità giuridica, il documento
che ne regolamenta l’attività in funzione degli obiettivi in
esso indicati. Nella scuola dell'autonomia è determinante la
necessità di definire un progetto d'istituto coerente non
solo con gli obiettivi nazionali, ma anche con le esigenze
locali. Il fondamento costituzionale dell’autonomia
scolastica è nell’art. 5 cost.; il suo contenuto è definito
dalla legge statale (art. 21 L. 59/97 e DPR 8/3/99 n. 275
che la regolamenta); essa fuoriesce dalla competenza
legislativa delle Regioni che non possono modificarne
l’ampiezza e i limiti (art. 117/3 Cost.) rientrando
l’autonomia scolastica fra le norme generali
dell’istruzione. In realtà la Scuola dovrà misurarsi con la
c.d. devolution: il confronto non sarà facile e le garanzie
per la scuola autonoma non è prevedibile siano identiche
nelle diverse realtà territoriali. Anche questo non è detto
in negativo, ma solo per evidenziare che una riforma dello
Stato (e tale è la c.d. devolution) comporta necessariamente
problematiche complesse da affrontare con spirito
costruttivo. Al presente, non più per raggiungere, ma per
conservare l’autonomia, il DPR 233/98 fa riferimento al
numero degli alunni, all’ambito territoriale, alle
caratteristiche geografiche, economiche e socio-culturali
del territorio e alla sua organizzazione
politico-amministrativa: eco, quindi, la costituzione di
istituti comprensivi (materne, elementari, medie);
l’unificazione di Istituti superiori di diverso ordine e
tipo nello stesso acino di utenza, quando, separatamente,
non raggiungono le dimensioni ottimali (D.P.R. 2/3/98 n.
157). A queste aggregazioni forzose di scuole, si aggiungono
(D.P.R. 275/99, art. 7), le “reti di scuole su adesione
mediante accordi, per condividere esperienze acquisite e
risorse finanziarie e professionali.” L’autonomia delle
Istituzioni scolastiche è di carattere funzionale (articolo
1 D.P.R. 8/3/99 n. 275), cioè comporta la capacità di essere
attributario di funzioni amministrative proprie e, pertanto,
sottratte alla titolarità degli enti publici territoriali (Sandulli:
Il sistema nazionale di istruzione). Ne consegue che in
relazione ai fini perseguiti le istituzioni scolastiche
hanno autonomia normativa (regolamenti interni); autonomia
amministrativa, cioè organizzativa, finanziaria, gestionale,
contabile, di bilancio (v. art. 14 D.P.R. 275/99 e D.M.
10/2/2001, n. 44). Ciò ovviamente se da un lato abolisce le
detestate autorizzazioni ed approvazioni dei “superiori”,
comporta responsabilità dirette (penali, civili,
amministrative, contabili). Nei decenni anteriori al 1990
molte esperienze, sotto forma di sperimentazione, sono state
consentite, anticipando surrettiziamente, le riforme per
arricchire l’offerta formativa delle scuole e rispondere
alle esigenze formative dei giovani “al di là e anche al di
fuori dei curricoli di studi) (Trainito, op. cit.) Tali
attività, che hanno avuto una specifica disciplina
regolamentare (D.P.R. 567/1996 e successive modifiche e
integrazioni) ma pur sempre “episodici e scarsamente
strutturati” (ivi), hanno trovato “organicità e piena
legittimità” attraverso i commi 8,9,10 dell’art. 21 L. 59/97
e il DPR 275/99, che ha introdotto l’autonomia didattica e
organizzativa delle Istituzioni scolastiche, esplicitata nel
POF, fermo restando “il rispetto degli obiettivi del sistema
nazionale di istruzione e degli standard di livello
nazionale (art. 21 c. 7 L. 59/97). (Trainito cit.)
L’autonomia organizzativa è finalizzata a realizzare la
flessibilità, la diversificazione, l’efficacia e
l’efficienza del servizio scolastico, all’integrazione e al
miglior utilizzo delle risorse umane e strutturali,
all’introduzione di tecnologie innovative (c. 9 art. 21 L.
59/97 e art. 5 D.P.R. 275/99). Il cit. comma 9 dichiara,
inoltre, che “l’autonomia didattica è finalizzata al
perseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale
di istruzione, nel rispetto della libertà di insegnamento,
della libertà di scelta educativa da parte delle famiglie e
del diritto di apprendere”. Il comma 10 attribuisce alla
scuola autonoma in tema di sperimentazione, ricerca e
sviluppo, “ nei limiti del proficuo esercizio dell’autonomia
didattica e organizzativa” secondo le modalità di esercizio
di cui all’art. 6 del D.P.R. 275/99. Circa l’autonomia
organizzativa e didattica, esercitata eventualmente in forme
consorziate , consente di ampliare l’offerta formativa a
favore degli adulti, di intervenire sui fenomeni
dell’abbandono e della dispersione scolastica , di
utilizzare le strutture e le tecnologie anche in orario
extrascolastico, di partecipare a programmi nazionali,
regionali e comunitari e percorsi integrati di istruzione e
formazione (art. 21 , comma 10, Legge 59/97 e DPR 275/99.
L’autonomia non è un problema della scuola, ma di un modello
sociale, di un modo di costruire e di crescere. Se la
società cresce sulla base di una concezione autonomistica la
scuola non può isolarsi e dire “a noi non interessa”. Uno
Stato, un’organizzazione sociale basata sulle autonomie è
molto diversa da un’organizzazione basata sul rapporto
amministrativo centrale o periferico che sia: è un’altra
concezione. Dietro questo termine si nascondono teorie dello
sviluppo, teorie sociali e pedagogiche, fino al punto da
rendere anche preoccupante l’orientamento autonomistico,
perché nasce il problema del controllo. Proprio per questo
oggi è diventato centrale il tema della valutazione: tanto
più cresce l’autonomia, tanto più si manifesta l’esigenza di
avere regole di controllo dello sviluppo, perché altrimenti
l’autonomia potrebbe diventare autarchia, anarchia. È forte
la necessità di costruire una vera COMUNITA’ SCOLASTICA,
anche per non dipendere dalla corrente politica di turno. Il
piano dell’offerta formativa va adeguatamente predisposto in
ambito pedagogico; va ricostruito un tessuto di relazioni
attraverso la cura delle comunicazioni; va recuperata
l’idealità in ambito educativo. La famiglia non ce la fa ad
educare i ragazzi, ma nemmeno la scuola riesce, soprattutto
in merito alle motivazioni. Solo un patto educativo può
adeguatamente affrontare la situazione complessa: o si mette
in gioco la società (scuola, famiglia, altre agenzie
educative), oppure si lascia tutto alla decisione politica.
Un rischio grosso da evitare è sicuramente quello di
trasformare la scuola in una logica di mercato. Ogni scuola,
diventata autonoma, è responsabilizzata in prima persona:
non può più attendersi ordini dall’alto, ma è tenuta a farsi
carico direttamente dei problemi e di trovare lei stessa le
soluzioni. Si tratta infatti di un’autonomia che scaturisce
dall’incontro e dalla corresponsabilità tra i titolari
dell’educazione e non quella di un organismo aziendalistico
dove sono le regole della funzionalità ad avere la meglio:
la scuola tende a diventare un mondo vitale dove ognuno è
riconosciuto ed ascoltato per quello che è.
Gli ORGANI COLLEGIALI, luogo dell’incontro e della
partecipazione, sono in fase di ristrutturazione.
Non è ancora possibile dire come saranno rivisti, ma alcune
linee di tendenza risultano emergenti:
- riconferma del consiglio di Istituto come organo di
gestione e di controllo;
- riconferma del Collegio Docenti;
- istituzione di organismi di partecipazione sulla base del
regolamento che ogni istituto si darà;
- istituzione di una commissione per la verifica della
qualità del servizio, nominata dal Consiglio d’Istituto;
- ampio spazio di autoregolamentazioni, con la possibilità
di inventare forme nuove di incontri e di aggregazioni.
Tra le altre si pone la questione di quali siano il compito
e il ruolo dei genitori nella nuova scuola dell’autonomia.
Un apporto significativo in merito viene dall’esperienza
europea, dove da anni si è sviluppata una riflessione che
indica nei genitori i “partner” necessari ed indispensabili
sia per una riqualificazione del servizio scolastico, sia
per il miglioramento dello stesso apprendimento scolastico
degli allievi. Il Primo Ministro britannico arriva a
definirli “coproduttori associati dell’istruzione”, quasi a
rimarcare che il loro ruolo non si ferma sulla soglia, ma
penetra all’interno degli istituti e influisce sul processo
di studio dei ragazzi. Il processo educativo del minore, più
che il risultato di interventi esaustivi di un solo
apparato, appare il risultato di molteplici apporti di più
soggetti, stretti da un patto per l’assunzione delle
reciproche responsabilità. “Il patto significa che ci sono
due contraenti: le famiglie danno le loro risorse e si
assumono le responsabilità educative; gli insegnanti mettono
a disposizione le loro competenze professionali in
collaborazione comunicativa con i genitori; lo Stato è la
terza parte che deve fare da garante di questo patto.” (Pier
Paolo Donati, 1977) Nel rapporto innovato la scuola resta un
sistema strutturato per l’insegnamento, ma ha bisogno di
diventare luogo di esperienza compartecipata. La famiglia, a
sua volta, se è anzitutto comunità naturale ed accogliente,
ha bisogno oggi di attrezzarsi per far fronte ad una società
sempre più complessa. In un'epoca di grandi trasformazioni
sociali ed economiche, il futuro dei sistemi scolastici e
formativi è oggetto di discussione in quasi tutti i paesi
europei. Inoltre, la creazione del Mercato Unico pone il
problema di un raccordo tra le politiche scolastiche dei
diversi paesi: la libera circolazione dei lavoratori
richiede non solo la confrontabilità dei titoli di studio,
ma anche percorsi formativi che siano in grado di fornire
gli strumenti culturali e le competenze necessarie per
essere "cittadini europei". Scelte coraggiose che si
prefiggono di colmare il divario tra società civile e mondo
dell’istruzione e della formazione avvicinandosi al
territorio, riconoscendone i bisogni e le difficoltà,
catalizzando risorse e creando una competitività virtuosa.
Il rapporto istruzione-educazione, nella prospettiva
dell’autonomia scolastica ed in particolare dell’autonomia
delle figure professionali, si risolve oggi nell’auspicio
che l’azione della scuola ponga al centro della elaborazione
dei contenuti culturali la tensione ad educare e ad educarsi
nell’agire responsabile. L’educazione alla responsabilità è
la forma con cui si sta ritornando all’educazione nella
scuola dell’autonomia. Essa è espressione di libertà che si
fa autentica nella misura in cui diventa momento di
crescita: personale per l’alunno, professionale per
l’insegnante, culturale e sociale per la comunità scolastica
e per il territorio.
Nella società complessa decidere di cambiare non basta. La
presenza di una libertà del desiderio e di sofisticati
sistemi di comunicazione spesso condiziona la stessa libertà
di scelta. Oggi di fronte ad una sovrabbondanza di
possibilità, l’esercizio della libertà implica autenticità
della scelta, cioè quella capacità di sapersi orientare e di
saper selezionare secondo criteri e riferimenti guida che
sappiano orientare la persona verso la piena realizzazione
della sua soggettività.
Pertanto:
- Scegliere è selezionare secondo criteri oggettivi di
qualità e di pregio
- L’agire selettivo è fondamentale per la legittimazione
dell’alternativa preferita
- Scegliere implica l’investimento e il coinvolgimento pieno
del soggetto
- Scegliere implica l’impegno della persona per un agire
responsabile.
L’autonomia pone un altro problema: chi è la fonte del
curricolo? Chi può decidere degli orientamenti formativi?
Occorre affidarsi ad esperti o spetta ai docenti, che
possiedono particolare competenza e responsabilità per poter
costruire il percorso formativo? In questo secondo caso una
delle fonti del curricolo è data dagli, stessi operatori
della scuola, e il curricolo cresce dal basso, viene
costruito gradatamente.
La prospettiva è ben diversa: cambiati completamente gli
schemi si possono trovare soluzioni diverse da istituto a
istituto. L’assunzione di responsabilità è rilevante,
totale. Da questo punto di vista l’autonomia fa aumentare il
livello di differenziazione, le mille possibilità, le
esigenze di rigorosità, di informazione, di documentazione.
Precedentemente la differenziazione rispetto all’uniformità
non era praticabile: uno non poteva adattarsi alla
situazione, DOVEVA adattarsi. Il non adattamento provocava
l’emarginazione. In una situazione che vuole essere di
grande flessibilità, come si prefigge l’autonomia, è il
sistema che si adatta all’individuo e non l’individuo
all’organizzazione. L’autonomia vuole indicare
sostanzialmente che l’insegnante è responsabile della
scuola, non della classe; è protagonista di un progetto
generale. Certo il progetto deve essere veramente tale, nel
senso di una maggiore libertà dal punto di vista concettuale
e contrattuale. Quali sono i possibili modelli di autonomia?
Di fronte a noi ci sono varie possibilità: Pur tra
significative novità nei diversi ambiti (procedure,
programmi, ruoli e mansioni), tuttavia il mutamento maggiore
risulta essere il diverso rapporto tra amministrazione
pubblica e cittadini: si sta infatti passando da una
filosofia politica basata su un programma istituzionale
consolidato e sul governo delle istituzioni a livello
centrale, a una filosofia di "governance" basata su un nuovo
rapporto tra controllo centrale e decentramento, tra
standard e autonomia. In Gran Bretagna L’ampia autonomia
delle scuole viene introdotta nel 1988. Il governo delle
scuole. La responsabilità di un’efficiente ed efficace
gestione economica delle scuole inglesi compete per legge al
governing body (Consiglio di Amministrazione). I suoi
membri, i governors, vengono eletti o invitati in base alle
regole che assicurano la rappresentanza del personale
scolastico, dei genitori e delle autorità locali. Il capo di
istituto può decidere se fare parte del governing body. I
governors partecipano a livello volontario, non sono pagati,
e non sono tenuti ad avere una conoscenza a livello
professionale del settore dell’Education. Leadership
strategica I governors hanno un ruolo importante nella
leadership della scuola grazie alla collaborazione con il
capo di istituto e con la senior leadership team (la sua
squadra di stretti collaboratori). Attualmente c’è la
tendenza a promuovere una leadership diffusa che coinvolge
governors, capo di istituto e senior leadership team oltre
ad altri leader chiave della scuola, che hanno tre compiti
fondamentali: 1. fornire una visione strategica;
2. fungere da “amico critico” (controllo e supporto a un
tempo);
3. assicurare la “rendicontazione” attraverso la trasparenza
dei risultati (accountability).
È fondamentale fornire una visione strategica (1), il che
comporta: concordare le finalità, i valori e le politiche
della scuola; definire obiettivi, migliorare i risultati
educativi e stabilire cosa deve fare la scuola per
conseguirli. È necessaria una stretta collaborazione tra
capo di istituto e lo staff, motivati da identità di
obiettivi. Fungere da “amico critico” (2) è forse il compito
più difficile per i governors. Essi possono offrire un
prezioso contributo sulle questioni attinenti i risultati,
compresi i loro. Per svolgere tale funzione, devono essere
in grado di monitorare i risultati della scuola e di
valutarne i punti forti e i punti deboli a livello
individuale e organizzativo. Non devono basarsi soltanto sui
rapporti e i dati forniti dal capo di istituto, ma anche
sulle proprie percezioni, corroborate da visite occasionali
alla scuola durante le lezioni. È difficile equilibrare la
pressione (il controllo) e il sostegno. C’è bisogno di
instaurare un clima di fiducia, di sensibilità e di apertura
che spesso è difficile creare a causa dell’avvicendamento
del personale. La funzione di accountability
(rendicontazione). La accountability (3) ha una dimensione
interna e una esterna. Il meccanismo principale della
rendicontazione interna è un sistema di management basato
sui risultati (performance management system) che è compito
statutario di ogni governing body. Ciò comporta stabilire
annualmente gli obiettivi e di conseguenza verificare i
risultati rispetto a tali obiettivi. I governors svolgono
tale funzione insieme al capo di istituto. La verifica dei
risultati può influire sullo stipendio, sullo sviluppo
professionale e sui futuri programmi didattici del personale
docente. L’accountability pubblica da parte dei governors
comporta un incontro annuale con i genitori, la
pubblicazione dei risultati e la responsabilità della nomina
del capo di istituto e del personale (docente e non). I
governors hanno inoltre una serie di compiti:
- assicurare il rispetto di leggi e regole da parte della
scuola;
- definire il piano strategico; definire il budget;
- garantire il buon funzionamento della scuola e verificare
il lavoro del capo di istituto e del personale.
Per svolgere tali compiti il governing body si avvale di
diverse commissioni che si occupano, ad esempio, del
curricolo, del personale, delle gestione delle risorse,
della sede scolastica e della sua manutenzione. I governors
sono responsabili anche verso i loro elettori (genitori e
comunità) dei risultati della scuola: la sicurezza e il
benessere degli allievi, la qualità dell’istruzione offerta
e i livelli di istruzione raggiunti dagli allievi nella
scuola. Sono responsabili del denaro allocato alla scuola e
della qualità e competenza del capo d’istituto e degli
insegnanti. I governors devono riferire ai genitori e
dispongono di una procedura per indagare su eventuali
lamentele. Divisione dei compiti tra capo d’istituto e
governors. I governors hanno una serie di compiti:
assicurare il rispetto di leggi e regole da parte della
scuola; definire il piano strategico; definire il budget;
garantire il buon funzionamento della scuola e verificare il
lavoro del capo di istituto e del personale. Il compito più
importante del governing body è quello di nominare il capo
di istituto. Governors: Responsabile di - efficienza,
efficacia e gestione economica e finanziaria - performance
del capo di istituto - curricolo - personale - strategie -
budget - standard educativi - funzioni particolari, ad
esempio per bisogni educativi speciali - “amico critico”,
fornendo controllo e supporto al tempo stesso Capo
d’istituto, Responsabile di - tutte le attività operative -
organizzazione corrente - orario - ruoli e performance del
personale didattico - valutazione - informazioni alle
famiglie - disciplina - implementazione delle strategie -
risultati degli alunni - rendicontazione dei risultati al
governing body.
Criticità: La difficoltà di scegliere governors adeguati,
soprattutto in certe aree urbane; l’atteggiamento del capo
di istituto verso il governing body - che talvolta ne
ostacola l’operato; infine, la mancanza per i governors di
informazioni adeguate su cui basare il proprio giudizio
circa l’efficacia della loro scuola, dato lo stretto
rapporto tra una leadership efficace e una scuola di
successo. Formazione alla leadership di capi di istituto e
governors. Con l’introduzione dell’autonomia nelle scuole
inglesi si è verificato un aumento significativo della
formazione sistematica per i capi di istituto. Tale
formazione è stata effettuata soprattutto dal National
College for School Leadership (NCSL), istituito dal primo
ministro Tony Blair. Il College gestisce la National
Professional Qualification for Headship (NPQH) che prepara i
futuri capi di istituto su una serie di materie attinenti la
leadership. Offre inoltre corsi di sviluppo professionale
per quadri intermedi come i capi dipartimento. Il governo ha
anche finanziato la formazione dei governors. In passato,
questa formazione verteva soprattutto su materie quali
responsabilità legali, gestione del bilancio e così via. Di
recente, la formazione dei governors si è concentrata sulle
competenze necessarie per il lavoro di squadra più che su
quelle individuali, come la gestione dei gruppi di lavoro,
il miglioramento dei rapporti tra i governors, e tra i
governors e il personale della scuola. È tuttora argomento
dibattuto se tale formazione per governors ed educatori sia
essenziale per le scuole dell’autonomia. L’ordinamento della
funzione docente Gli insegnanti sono nominati dai governors.
Un’importante risposta strutturale è quella di adattare lo
stipendio e le condizioni di lavoro degli insegnanti in modo
da premiare i migliori e creare una struttura di posti di
lavoro dirigenziali. La riforma del lavoro ha concesso alle
scuole di nominare personale meno qualificato per ridurre il
carico di compiti amministrativi e di altro genere degli
insegnanti; questi cambiamenti prevedono l’uso di
“assistenti insegnanti” all’interno della classe. In
Inghilterra, il ruolo dell’autorità locale è cambiato e i
suoi poteri sono andati riducendosi considerevolmente. Le
scuole autonome possono acquistare alcuni servizi dalle
autorità locali, oppure rivolgersi ad altri fornitori. Ma
l’autorità locale ha sempre il ruolo di assicurare
un’adeguata offerta formativa nella propria zona di
competenza. Attualmente non si concentra più soltanto
sull’istruzione, ma piuttosto su una serie di servizi per i
ragazzi.
Genitori: I delegati dei genitori, come pure i delegati
degli insegnanti, fanno parte del governing body, ma non
hanno un canale statutario separato per rappresentare le
loro opinioni. Il potere del genitore è sostanzialmente
quello di scegliere o rifiutare una certa scuola per il
proprio figlio. Le nuove riforme, proposte nell’ottobre
2005, hanno lo scopo di rendere il sistema dell’istruzione
secondario più aperto ai genitori. Sono stati proposti nuovi
Trusts per gestire le scuole secondarie, che dovranno
comprendere il consiglio dei genitori. Ai governors è
richiesto per legge che mandino ai genitori copia della
sintesi del rapporto dell’ispezione OFSTED e, di
conseguenza, il loro piano di azione post-ispezione. I
genitori hanno in genere un’opinione positiva sulla scuola.
I genitori possono richiedere l’istituzione di una
commissione per indagare sull’operato della scuola. Le
scuole dell’autonomia devono disporre di commissioni di
gestione che pongono sfide e al tempo stesso sostengono il
personale insegnante, oltre a rappresentare e salvaguardare
gli interessi degli studenti, dei genitori e di tutto il
personale della scuola, del mondo del lavoro e della
comunità. La valutazione dell’attività scolastica. La
funzione di rendicontazione dei governors è tanto più
significativa nelle scuole che destano preoccupazione. In
Inghilterra, ogni scuola viene periodicamente ispezionata
dall’OFSTED. Per la piccola percentuale (circa il 2%) che
risulta inadeguata, viene richiesta l’adozione di “misure
speciali” per favorire il miglioramento degli standard. A
chi evidenzia carenze significative, dal settembre 2005
viene inviato l’“ordine di migliorare”. Questo piano viene
preparato con l’aiuto dell’autorità locale e deve essere
approvato dal ministro dell’Istruzione. In casi estremi, il
ministro dell’Istruzione può sostituire i membri del
governing body oppure nominare governors aggiuntivi. I dati
dell’OFSTED indicano un rapporto diretto tra efficacia
dell’azione della scuola e qualità della governance. La
scarsa collaborazione tra governors e capo di istituto di
solito è associata a una scuola in difficoltà. (Da Peter
Matthews, La governance delle scuole in Inghilterra in Il
governo della scuola autonoma: responsabilità e
accountability della Fondazione TreeLLLe, Seminario n. 5,
Settembre 2005- rielaborazione di Celestino Cremonesi) . Nel
Regno Unito, quindi, si sperimenta un sistema educativo
basato sui reali risultati raggiunti e aperto ai contributi
della società civile. Basti considerare le nuove Free
Schools, nate dall’iniziativa di cooperative di docenti,
gruppi di genitori e associazioni non-profit. Dunque, con
una libertà (anche pedagogica) dei cittadini di istituire
nuove scuole sostenute dallo Stato, di far chiudere le
scuole che non funzionano (attraverso le iscrizioni) e di
monitorare la leadership educativa. In questo contesto, ogni
scuola avrebbe la possibilità di diventare una fondazione,
in grado di procurarsi partners efficaci non solo dal punto
di vista finanziario ma anche, nell’ottica di una comunità
educante vicina al territorio, per la formazione di un
“ethos” (progetto educativo) utile al raggiungimento degli
obiettivi comuni richiesti dallo Stato e dalla società. Nel
Regno Unito ogni scuola può diventare una fondazione aperta
alle partnership. Il 6 maggio il Regno Unito andrà alle urne
per eleggere il successore di Gordon Brown: chiunque esso
sia, si troverà a prendere decisioni importanti in materia
di Istruzione. Quando nel 1997 fu eletto Tony Blair, uno
degli slogan vincenti della sua campagna fu: “Istruzione,
istruzione e istruzione”. In questi ultimi venti anni la
politica educativa inglese è mutata profondamente, ma sembra
che, nonostante le riforme, le cose non siano andate sempre
per il verso giusto. Per gli inglesi la voglia di
cambiamento è dettata dal fatto che la loro scuola non
corrisponde alle loro aspettative di “giustizia sociale e di
futura crescita economica”: la Gran Bretagna è un paese con
una disparità di reddito fra ricchi e poveri superiore della
maggior parte dei paesi ricchi; un paese ricco, dove 4,8
miloni di adulti e 1,9 di bambini sotto i 16 anni (un sesto
di tutti i bambini) vivono in famiglie senza lavoro, in cui
quattro ragazze minorenni su cento hanno una gravidanza
all’anno, dove, anche durante la stabile crescita economica,
il 10% dei giovani tra i sedici e i diciotto anni non studia
né lavora. Inoltre la probabilità di miglioramento sociale
di un bambino è fortemente modellata dalla ricchezza della
famiglia nella qual è nato. Ovviamente la scuola non è
affatto lʹunica causa di questi mali, ma l’assetto delle
scuole britanniche tende, a detta dei più, a peggiorare le
cose. Sebbene lʹattuale governo laburista abbia raddoppiato
la spesa per le scuole da quando è salito al potere nel
1997, gli alunni indietreggiano nelle valutazioni europee,
dietro i loro omologhi in altri paesi ricchi. Nelle prove di
lettura per i quindicenni, di matematica e di scienze svolte
dallʹOCSE (tanto contestate in Italia), il risultato è stato
deludente. Tra il 2000 e il 2006, la Gran Bretagna è
arretrata nelle classifiche dellʹOCSE in ognuna delle
abilità. (da notare che il calo, Germania a parte, è
generale) . Le scuole pubbliche in Inghilterra sono
considerate mediocri e, secondo le statistiche Ocse, la
qualità generale all’interno delle scuole è più variabile
che nella maggior parte degli altri paesi. Inoltre, è molto
probabile che i bambini più poveri finiscano nelle scuole
peggiori. In poche parole la scelta di una “buona scuola” in
Gran Bretagna conta per la qualità della vita futura più che
in molti altri paesi ricchi. Anche le università formano un
sistema rigidamente gerarchico con Oxford e Cambridge in
cima. Tutto ciò si risolve in una corrispondenza stretta tra
grado di istruzione e stipendi. Non tutti però sono
favorevoli al finanziamento delle scuole private: in questi
tempi difficili, in Gran Bretagna – dicono i critici‐, non
ci sono soldi per scuole nuove che in più svuoterebbero le
“vecchie” istituzioni statali creando ulteriori problemi.
Un’altra idea sul campo, proposta dai liberal‐democratici, è
quella di liberalizzare il mercato‐scuola lasciando alle
scuole carta bianca in materia di curriculum e retribuzione
degli insegnanti e consegnando del tutto alla libera
concorrenza il destino dell’Istruzione. Insomma chiunque
vinca le elezioni si troverà davanti un bel nodo gordiano da
sciogliere: tra burocrazia, insegnanti scontenti e riordino
strutturale‐economico sembra che anche la scuola inglese
stia attraversando un periodo estremamente delicato.
Conclusione La complessità del momento non nasconde le
difficoltà che stanno emergendo nella scuola e nella società
europee. L’esito del percorso dell’autonomia dipende in
buona parte dall’azione dei suoi protagonisti: docenti,
dirigenti, genitori, amministratori. Potremmo riassumere il
loro compito con tre termini: RESPONSABILITA,
PARTECIPAZIONE, COLLABORAZIONE. Queste parole non sono
nuove, ma oggi acquistano nuove connotazioni:
- da una responsabilità delegata ad una responsabilità
diretta e condivisa, per riscoprire il coraggio di educare;
- da una partecipazione formale ad una partecipazione
efficace, per costruire qualità, in termini di educazione
umana e preparazione professionale;
- da una collaborazione aggiuntiva ad una collaborazione
alla pari, originale e originaria, in grado di assicurare
alle scuole apporti autorevoli, per una “paideia del 2000
che legga il presente ed il passato per progettare il
futuro, conferendo significati personali alla propria e
altrui esperienza, per educare i giovani che rischiano forme
inedite di alienazione ed emarginazione” (Luciano Corradini).
Lucia Scuteri
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