014..:: 08.04.2011
..:: Di Meo Natalia.
SANTA MARIA CAPUA VETERE - CE ..:: Ogni bambino dovrebbe
imparare almeno due lingue”. Si è espresso in questi termini
il Consiglio Europeo, con l’intento di rafforzare la
convinzione che non si possa che trarre giovamento
dall’apprendimento delle lingue straniere. Strano a
pensarsi, ma dobbiamo ancora sottolinearlo. I benefici per
gli educandi, sotto il profilo cognitivo, sarebbero enormi
nella prospettiva della valorizzazione di una iniziativa
europea: si aprirebbe un nuovo scenario, che meriterebbe una
diversa e più precisa articolazione, imperniata sulla
“integrazione a scuola”. Ho sempre amato il linguaggio, le
sue dinamiche e le sue potenzialità comunicative. Ed è per
questo che mi sono laureata in lingue e letterature
straniere, per promuovere l’uso del linguaggio e per
comunicare più facilmente, per sentirsi a casa in tutte le
case del mondo, e per considerare le culture straniere come
una ricchezza a cui non poter rinunciare.
Vorrei sensibilizzare tutti: pensiamo all’uso del linguaggio
in un semplice colloquio. Non è forse un momento di intensa
influenza ed interazione reciproche, di due soggetti
coinvolti, un complesso intreccio di fenomeni che riguarda
la relazione e la comunicazione? Mi piacerebbe evidenziare
come è proprio durante un colloquio verbale che si creano le
dinamiche dell’imitazione. La natura dell’uomo cresce
attraverso l’educazione e l’istruzione, noi tutti lo diamo
per scontato. E’ di particolare interesse la relazione
educativa sulla quale vorrei soffermarmi come primo aspetto
della mia visione. Gli educatori sono molteplici, i
genitori, i docenti di scuola, l’istruttore di sport,
chiunque contribuisca a potenziare i livelli di partenza del
soggetto discente. Si istituisce, infatti, tra educatore ed
educando non soltanto un’osmosi sul piano culturale ma
soprattutto sul piano affettivo ed umano. L’apprendimento si
realizza attraverso questo legame: i contenuti culturali
sono indissolubilmente legati alle modalità di interazione e
comunicazione con cui vengono mediati ed attraverso i quali
si attua la dimensione affettiva. Nella società
contemporanea l’insegnante si atteggia come una figura che
va perdendo la sua connotazione assiologica: l’educatore,
nel contesto di una società scarsamente meritocratica, non è
più in grado di tessere una relazione educativa che non sia
protesa alla sola mediazione di conoscenze indifferenti ai
valori morali. Orgogliosa di avere valori forti da
trasmettere agli educandi, vorrei porre l’accento
sull’importanza di esplicitare e definire le modalità
pedagogiche indispensabili per la effettiva crescita, in
modo da indurre l’educando a percepire nell’educatore il più
valido ausilio al proprio sviluppo cognitivo. Solo così sarà
guida verso una vera acquisizione di una autonomia culturale
e affettiva. Ecco, in sintesi, il vincolo: l’uso del
linguaggio. Da bambini si impara a parlare, poi si apprende
la semantica, la sintassi,…ed ancora, crescendo, si giunge
ad immergersi in un universo linguistico in cui, il bambino
non oppone od opera discriminazioni. Partiamo dai bambini,
sensibilizziamo all’apprendimento delle lingue straniere in
età infantile, e diamo il senso dell’affettività
dell’incontro grazie alla bellezza del linguaggio. Un
linguaggio che educhi in maniera autentica alla scoperta
dell’altro attraverso le proprie peculiari caratteristiche.
Concludo così con questo interrogativo: sullo stesso piano
perché non ci si può confrontare parlando di “integrazione
affettiva”?
Natalia Di Meo
www.assodolab.it
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