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Dieci anni di autonomia scolastica. Tra Bassanini e Brunetta.

011..:: 08.04.2011

 

..:: Russo Ida.

 


SAN MARCELLINO - CE ..:: Mortari, Cambi, Morin, Gardner, Altet, Shön, Damiano, Frabboni, Pinto Minerva, Baldacci, Calvani…
Cura, disincanto, complessità, etica del genere umano, società della conoscenza, comunità di apprendimento, testa e cuore… belle parole, ottimi intenti ma poche azioni a riguardo: ebbene sì… di queste belle parole, poche sono quelle che, nella scuola dell’autonomia, vengono fattivamente prese in considerazione. L'aver cura della vita della mente dei nostri alunni, affinché, in maniera euristica e costruttiva, imparino a pensare, in quel naturale laboratorio di idee che dovrebbe essere una classe, è un'attività alla quale pochi docenti si dedicano: improvvisare un normalissimo circle time per discutere sui vari perché della vita (Lipman docet) ha sempre destato, purtroppo, sempre tanti sospetti e scarsa considerazione... 
Personalmente ho assistito a collegi dei docenti in cui il confronto non esiste: ma non perché il Dirigente Scolastico non inviti ad esprimere le proprie riflessioni sull’ordine del giorno ma, piuttosto, per la scarsa propensione dei docenti ad occuparsi delle scelte in materia didattica (causa menefreghismo, ignoranza completa delle politiche del MIUR, poco tempo da dedicare alle innovazioni di contro all’immensa mole di lavoro che occorre per soddisfare la burocrazia delle carte). La condivisione delle scelte all’interno del collegio è, e resta, di pochi… questo è un dato di fatto, così come il genitore deve stare fuori dalla porta per il docente che non vuole mettere in dubbio la sua professionalità, dimenticando completamente che la libertà dell’insegnamento non è la libertà dell’insegnante. In molte realtà, spesso, autonomia fa rima con autarchia… A distanza di 13 anni dalla Legge n. 59 del 1997, il carico innovatore dell’autonomia, quella vera, è ancora sulla carta. La scuola non può più considerarsi una monade autoreferenziale: nell’ottica di un sistema integrato, complesso ed a legami deboli, deve, piuttosto, dialogare, condividere scelte educative ed interagire con il territorio. Venendo a mancare proprio quella funzione accentratrice e burocratica di organizzazione preesistente alla Legge 59/97 ed affinché l’autonomia non resti solo sulla carta, è necessario motivare, generare consenso all’interno ed all’esterno, coinvolgere nel processo di co-decisione l’utente/persona/ente che si ritrovi ad entrare nell’orbita dell’Istituzione: non a caso, come conseguenza delle co-decisioni, si parla di corresponsabilità. Le decisioni degli organi deliberanti, se non condivise dall’intera comunità, non possono aver luogo di esistere, perché il modello gerarchico basato sulla certezza di ruoli e di scelte ha lasciato il posto ad un’organizzazione di tipo sistemico che necessita della condivisione delle scelte educative: a tal proposito, diverse scuole stanno già predisponendo, in maniera del tutto autonoma, il bilancio sociale, uno strumento che aumenta, in maniera esponenziale, la visibilità dei risultati tramite la comunicazione interna ed esterna e che, soprattutto, dà il senso di far parte di un sistema, di una comunità educante, all’interno della quale venga recepita appieno la portata innovatrice dell’autonomia; un’autonomia finalmente intesa come autonomia di sperimentazione ed innovazione al fine di incentivare la valorizzazione delle competenze (essenziale per generare consenso ed appartenenza all’Istituzione) e la gestione efficace ed efficiente di tutte le risorse umane, finanziarie e professionali sulle quali una Rete territoriale può contare.
La scuola dell’autonomia deve farsi promotrice di accordi di rete per coordinare Reti territoriali (art. 6 e 7 del D.P.R. 275/99): nuovi soggetti organizzativi, flessibili ed aperti per rendere visibili, in maniera esponenziale, le “best practices”, attività già poste in essere dalle singole Istituzioni scolastiche e che andranno capitalizzate, al fine di facilitare all’interno della Rete territoriale, la circolazione delle esperienze migliori e la definizione di buone prassi tra le scuole coinvolte con una particolare attenzione alla necessità di costruire per i docenti dei “percorsi di cultura organizzativa e comunicativa” integrati su base territoriale. Applicare nella scuola questi principi, che già rappresentano nelle aziende la nuova frontiera del management, si tradurrebbe nell’attuazione, non più solo simbolica ma fattiva e concreta, dell’autonomia scolastica e delle sue potenzialità: infatti, ai sensi dell’art. 21 della L. 59/97, è stata conferita alle Istituzioni scolastiche una “autonomia funzionale” al successo formativo, per poter meglio rispondere alle esigenze del territorio, alle esigenze del locale affinché sia coniugato al globale in un’ottica “glocale”. E’ solo in questo modo che nell’era planetaria della complessità è possibile raggiungere il “successo formativo” di ogni alunno. E’ attraverso la personalizzazione delle scelte educative che si realizza il successo formativo. Il principio di sussidiarietà, che è alla base dell’autonomia, e che trova fondamento nella ventata di innovazioni che ha travolta la P.A. dagli anni ’90 in poi, equivale all’avvicinamento all’utente, chi usufruisce del servizio, affinché venga realizzato il suo personale “successo formativo”. La scuola dell’autonomia smette i panni dell’autoreferenzialità per proiettarsi nel confronto con l’utenza: un vero e proprio servizio che va innanzitutto condiviso a livello di scelte, poi, va monitorato e finalmente va valutato nell’ottica della qualità. Il naturale prosieguo della normazione Bassanini è stata la normazione Brunetta che posticipa la Bassanini di 12 anni circa; nel D.Lgs 150/2009 (attuativo della Legge n. 15 del 2009), la scuola, si caratterizza, ancor di più, come servizio all’utenza: basti pensare all’innovazione digitale “scuola mia” alla quale hanno già aderito molte scuole e che permette di parlare con la scuola attraverso il web, ed ancora al ciclo della performance con valutazione dei dirigenti e, finalmente, dei docenti da attuare, però, dopo le attuali sperimentazioni e con apposito decreto al prossimo rinnovo contrattuale, anche se, sembrano già quasi delineate le figure preposte a tale scopo (Ansas-ex Indire, Invalsi e corpo ispettivo riorganizzato ad hoc). Ora, il dubbio che preoccupa i docenti ed in prima linea i sindacati, è: «L’aumentato potere discrezionale e disciplinare del Dirigente Scolastico (contenuto nel D. Lgs. 150/2009) potrebbe portare ad un rinnovato ri-accentramento dei poteri decisionali a scapito della portata decentratrice dell’autonomia con un forte sbilanciamento verso il lato amministrativo piuttosto che quello educativo legato agli apprendimenti degli alunni?». In effetti il Dirigente della scuola autonoma, ex Direttore didattico e Preside, dovrebbe possedere proprio la competenza di ascoltare, creando consenso e dando voce a tutti i portatori di interesse (stakeholders) che gravitano intorno all’Istituzione scolastica.
Il Dirigente scolastico della scuola dell’autonomia dovrebbe, cioè, farsi punto di snodo, con il ruolo di ponte, tra la richiesta centralizzata di applicazione di norme, in quanto garante delle istituzioni, e la visione educativa che deriva dall’appartenere alla comunità professionale e sociale della quale è il leader (è stato coniato non a caso il termine “educazionale”, Damiano et al.). Un Dirigente, quello della scuola dell’autonomia, che compia il passaggio dal leader alla leadership, per portare (maestro tra maestri, I. Summa) ad unità il suono dei singoli solisti perché la sua peculiarità è quella di essere un ex insegnante.
Un’organizzazione, quella della scuola, che, dagli anni ’90, con la riforma della Pubblica Amministrazione avviata con la Legge 241/90, ha sentito la necessità di un nuovo tipo di “governance” interna, meno direttiva e più partecipativa. A questo proposito c’è da dire che c’è un gran lavoro da fare nella scuola sia sul fronte della comunicazione interna ed esterna, sia sul fronte della formazione tramite strutture permanenti, a livello di singola scuola che in rete con altre, al fine di gestire il “cambiamento”.
La formazione non deve essere più un fatto episodico o congiunturale: investire in ricerca ed in formazione è la vera realizzazione dell’autonomia.
 


Ida Russo
 

 


 

 

 


 

 

 

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