025..:: 27.07.2013
Nella foto, la soprano, Luciana Distante.
Proseguiamo questo «percorso musicale» a
cura di Luciana Distante, soprano. E' una iniziativa
dell'Assodolab riservata a coloro che amano la "buona
musica" e gli "autori del passato" che ci accompagnerà per tutto l'anno 2013 su
queste pagine web del nostro Supplemento di informazione
on-line
www.lasestaprovinciapugliese.it
La prossima uscita sarà il prossimo sabato.
La Redazione
Prof. Agostino Del Buono
Regione Puglia, LECCE..:: Due anni dopo il grande
successo del Ballo in maschera (1859), Verdi ricevette una
doppia missiva dell’agente teatrale Corticelli che
presentava la richiesta del tenore Enrico Tamberlick, il
quale chiedeva al maestro di comporre un’opera per il Teatro
Imperiale di San Pietroburgo. Verdi, affascinato dalla
commissione e dalla città così lontana dalla “sua” Italia,
propose al tenore un’opera basata sul Ruy Blas di Hugo, ma
il soggetto venne scartato dalla Censura russa; frustrato,
Verdi allora ripiegò su un famoso dramma di origine
spagnola: Don Alvàro o la Fuerza del Sino, del Duca di Rivas.
La trama dell’opera (complicata al pari di quella di
Trovatore) affascinò Verdi, che mandò il soggetto a Piave:
si tratta della loro ultima collaborazione.
A dicembre del 1861, finalmente, Verdi e consorte partirono
per la Russia: dopo un viaggio per mezza Europa (Torino,
Parigi, e infine Pietroburgo), l’opera, tuttavia, non andò
in scena, per colpa dell’indisposizione della primadonna,
Emilia La Grua. Verdi, frustrato e infreddolito, si vede
negare l’annullamento del contratto, e l’opera viene
rimandata alla stagione successiva.
A settembre del 1862, dopo l’ennesima pausa a Sant’Agata, i
coniugi Verdi ripartono per San Pietroburgo, e, finalmente,
il 10 novembre, La forza del destino vede la sua prima, al
Teatro Imperiale. Il successo è garantito, gli interpreti (Tamberlick
nel ruolo del protagonista, affiancato dal soprano Caroline
Barbot e dal baritono Francesco Graziani) piacciono. Qualche
anno dopo, Tito Ricordi propose di far tornare Verdi sul
palcoscenico della Scala con l’opera russa: dopo quasi
vent’anni, dalla rottura avvenuta in seguito al debutto
della Giovanna d’Arco (1845), Verdi sarebbe ritornato a
dirigere una sua opera nel maggiore teatro di Milano.
L’occasione fu adeguatamente sfruttata dal compositore per
rivedere il finale (a suo dire, troppo catastrofico): il
suicidio finale di Alvaro venne sostituito da Antonio
Ghislanzoni con un più catartico terzetto tra il tenore, il
soprano e un basso, nel quale il Padre Guardiano benediceva
l’anima di Leonora morente, e Alvaro chiedeva perdono a Dio
(ulteriori modifiche furono la sostituzione del più breve
Preludio con la più nota Sinfonia e un’inversione delle
scene al Finale Terzo). Protagonisti Teresa Stolz e il
tenore Tiberini, sotto la direzione di Angelo Mariani, la
Forzatrionfò alla Scala il 27 febbraio del 1869.
La fosca e rocambolesca vicenda dell’opera copre un arco
narrativo di circa dieci anni, in Spagna (Siviglia e
l’Andalusia) e l’Italia (Velletri): l’ambientazione
temporale dell’opera è la metà del XVIII secolo.
Tra Leonora di Vargas (soprano) e Don Alvaro (tenore),
figlio di un soldato spagnolo traditore e di una principessa
indiana, scorre un amore impossibile, osteggiato dalla
famiglia di lei: la loro fuga notturna viene infatti
scoperta dal padre, il Marchese di Calatrava (basso). In un
tentativo di difendere l’onore dell’amata, e per dimostrate
di non avere cattive intenzioni, Alvaro si disarma gettando
la pistola a terra, ma dall’arma parte un colpo fatale che
uccide di colpo il Marchese. Negli ultimi istanti di vita,
il Marchese riesce a ottenere dal figlio Carlo (baritono) la
promessa di una vendetta: la morte di Leonora e di Alvaro. I
due, intanto, si separano: Leonora prende i voti ed entra
nel Monastero della Vergine degli Angeli, vivendo come un
eremita nelle grotte; Alvaro si arruola nell’esercito
spagnolo durante la Guerra di Successione Austriaca.
A Velletri, dove Alvaro spera invano di morire in battaglia,
giunge anche Carlo, che, ignorando la sua identità, dapprima
stringe amicizia con l’ignoto commilitone, per poi
riconoscerlo, grazie a un ritratto di Leonora che Alvaro
conserva, come l’assassino del padre: Alvaro, braccato,
fugge dai campi di battaglia, e prende anche lui i voti,
nello stesso convento dove si è rifugiata Leonora.
Carlo, dopo anni di ricerche, raggiunge Alvaro anche lì, e,
insultandolo, riesce a coinvolgerlo in un duello, proprio
vicino alle grotte dove si è isolata Leonora: Carlo viene
mortalmente ferito, e il rumore del duello richiama la
donna. I due fratelli si riconoscono, e Carlo, prima di
morire, riesce a ferire mortalmente la sorella. Leonora,
dopo aver ritrovato l’uomo amato da tempo, spira tra le
braccia di Alvaro.
I protagonisti non riescono a fuggire dal proprio destino,
che incombe tremendo e magnetico sopra di loro. Tale
ineluttabilità della sorte è ben resa dal ricorrente
leitmotiv del destino, presente nella Sinfonia, e
ricorrente, soprattutto, nelle due romanze dedicate a
Leonora (la preghiera dell’Atto Secondo “Madre pietosa,
Vergine” e l’invocazione del Quarto, “Pace, pace, mio
Dio!”).
Donna Leonora è una dolcissima e appassionata creatura che
in sulle prime ama il padre, ma non al punto di anteporlo ad
Alvaro, il quale è la sua esistenza, il suo universo. Ella
soffre tutto con la rassegnazione di un eroico amore e di
migliore destino. Leonora è un personaggio complesso e
fortemente tragico, talora agitato, altre volte lirico, ma
comunque statuario. Lo stesso Verdi, a tal proposito,
scriveva infatti "che nella Forza del destino non è
necessario saper fare dei solfeggi, ma bisogna avere
dell'anima e capir la parola ed esprimerla" .
Certo è che la donna Leonora è nobile ed ispirata con una
linea di canto curata, raffinata ed attenta ai segni di
espressione, deve cantare ogni nota dandole senso ed
evitare, perchè non previste in spartito, forzature
d’accento e parlato in luogo di cantato.
Degna di nota è poi la preghiera di Leonora "Madre, pietosa
Vergine" che si stende calda, implorante su un
accompagnamento affannato e dolorosamente gemente. La frase
celestiale " Deh! non m'abbandonar" diventa la frase cardine
dell'intero quadro, passando più volte dalla voce
all'orchestra con tinte ora drammatiche, ora aeree e
mistiche.
Il tema religioso ritorna anche nel terzo atto con un altra
preghiera "La Vergine degli Angeli", una melodia così nobile
e angelica da ricordare le grandi preghiere del Nabucco e
dei Lombardi.
Luciana Distante
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