012..::.27.04.2013
Nella foto, la soprano, Luciana Distante.
Proseguiamo questo «percorso musicale» a
cura di Luciana Distante, soprano. E' una iniziativa
dell'Assodolab riservata a coloro che amano la "buona
musica" e gli "autori del passato" che ci accompagnerà per tutto l'anno 2013 su
queste pagine web del nostro Supplemento di informazione
on-line
www.lasestaprovinciapugliese.it
La prossima uscita sarà il prossimo sabato.
La Redazione
Prof. Agostino Del Buono
Regione Puglia, LECCE..:: La seconda metà degli anni
cinquanta dell’Ottocento, furono anni di travaglio: Verdi
poteva finalmente comporre senza fretta, ma l’intero mondo
musicale stava lentamente cambiando.
Simon Boccanegra segna il nuovo incontro tra Verdi e la
drammaturgia spagnola dopo Il trovatore. Alla “prima”
veneziana del 1857 l’opera è un fiasco clamoroso.
L’insuccesso sarà riscattato, vent’anni più tardi, da una
seconda versione, profondamente rimaneggiata nel libretto
(sul quale una seconda versione, profondamente rimaneggiata
nel libretto (sul quale interviene Arrigo Boito) e nella
partitura. Con questa nuova versione, presentata alla Scala
il 24 marzo 1881, Verdi crea un’opera di esemplare coerenza
drammatica, dominata da una tinta scura e dalle voci
maschili gravi: un’opera capace di imporsi sulle scene
teatrali per la sua grandezza tragica.
Simon Boccanegra, rappresenta un esito che, pur non privo di
contraddizioni, va già considerato tra i più ricchi e
significativi nell’ambito dell’ultima evoluzione verdiana.
Essa si svolge nel mutato clima storico dell’Italia
postrisorgimentale, accogliendo stimoli e arricchimenti
anche da quegli artisti delle nuove generazioni che contro
Verdi avevano polemizzato e le cui istanze di rinnovamento
furono portate a compimento proprio dall'anziano
compositore. Nel suo mondo le sottigliezze chiaroscurali
assumono un peso crescente e la sua complessa drammaturgia
non ammette più la concentrazione pressoché esclusiva su uno
o pochi personaggi.
Due anni più tardi vedeva la luce, dopo varie vicissitudini
prima con la censura napoletana poi con quella romana, Un
ballo in maschera (Roma, 1859), opera di successo nella
quale Verdi mescolò sapientemente elementi provenienti dal
teatro tragico e da quello leggero. Creazione musicalmente e
drammaturgicamente raffinata, dallo stile elegante e
delicato, in Un ballo in maschera affiora un’umanità
vagamente inquieta, non esente da ambiguità, che trova nella
relazione fra i due protagonisti i suoi momenti liricamente
più elevati. L’opera segna un’altra tappa fondamentale per
la drammaturgia verdiana: vi si rivela la tendenza,
inaugurata in modo così vistoso da Rigoletto, a scavare
nella psicologia di personaggi complessi e tutt’altro che
univoci. La commistione di stile tragico e tono da commedia
assume qui la massima evidenza, sino a sfociare in una certa
eterogeneità stilistica: l’opera sembra dunque seguire i
dettami del teatro romantico francese, che della commistione
dei registri aveva fatto un punto programmatico.La finezza e
la precisione con cui è ritratto l’ambiente di corte nel
Ballo in mascherasono essenziali per la concezione di
quest’opera, che è un nuovo indiscusso capolavoro, fatto di
sapienti equilibri, di profonde intuizioni drammatiche, ma
anche di leggiadre eleganze.
La commistione di comico e tragico è ancora più palese nella
Forza del destino, l’opera che Verdi scrisse per il Teatro
Imperiale di Pietroburgo nel 1862. Il linguaggio realistico
e apertamente comico nelle scene dell’osteria e
dell’accampamento, unito a uno stile musicale da commedia
che già prelude a Falstaff, contrasta singolarmente sia con
le grandi scene nello stile del grand opéra francese, sia
con l’idea centrale dell’opera, quella del destino
inesorabile che guida e condiziona le azioni dei personaggi.
L’opera possiede un indubbio vigore musicale anche se appare
in alcuni punti meno compatta, meno unitaria della
precedente sotto il profilo teatrale. Ne La forza del
destino Verdi riesce ad elaborare un linguaggio ancor più
realistico che in passato, anticipando l’opera successiva,
Don Carlo, presentata al pubblico parigino nel 1867.
Don Carlo è oggi considerato uno dei grandi capolavori
verdiani. In quest’opera il compositore, pur facendo proprie
alcune impostazioni del Grand opéra (fra cui l’articolazione
in cinque atti, l’inserimento di un balletto fra il terzo e
quarto atto e la creazione di alcune scene particolarmente
spettacolari), riesce a scavare in profondità nella
psicologia dei protagonisti, offrendoci una poderosa
raffigurazione del dramma umano e politico che sconvolse la
Spagna nella seconda metà del XVI secolo e che ruota attorno
alla logica spietata della ragion di stato.
Tale periodo di massima maturazione umana ed artistica
culminò con Aida. L’opera, nata su commissione delle
autorità egiziane, che intendevano allestire nel teatro
d’opera appena costruito al Cairo un soggetto “nazionale”,
mette in scena una vicenda le cui radici affondano
nell’antico Egitto. Aida fu presentata la vigilia di Natale
del 1871, in una cornice fastosa e mondana, alla presenza di
ambasciatori e regnanti. Il nuovo lavoro verdiano accoglieva
molte caratteristiche del grand opéra francese, prima fra
tutte la propensione alla spettacolarità, esaltata dalle
danze e dalla celebre scena del trionfo. Eppure il
baricentro della più spettacolare tra le opere verdiane sta
in un conflitto di natura tutta privata, che permette a
Verdi di spingere a fondo l’introspezione psicologica. La
prima rappresentazione italiana di Aida, alla Scala di
Milano l’8 febbraio 1872, fu seguita e controllata da Verdi
stesso. Per questo allestimento – che ottenne tutto il
successo sperato – Verdi volle con sé lo scenografo Girolamo
Magnani , al quale fece avere copie dei figurini dei costumi
del Cairo. Magnani ricercò nelle sue scene, assieme alla
fedele riproduzione dell’Egitto faraonico, l’evocazione di
un’atmosfera consona alla situazione drammatica. Le sue
scene, in particolare quella finale della morte dei due
amanti, divennero note ovunque e furono copiate e riproposte
nel corso di innumerevoli allestimenti, finanche nel
Novecento.
Aida costituisce un ulteriore, grande passo in avanti verso
la modernità. Il quasi completo abbandono dei pezzi a forma
chiusa, l’uso ancor più accentuato che in passato di temi e
motivi musicali ricorrenti potrebbero fare accostare tale
opera al dramma wagneriano. In realtà Verdi aveva seguito un
percorso del tutto autonomo in Aida, opera fondamentalmente
intimista e poggiata su una vocalità dalle caratteristiche
prettamente italiane. In Aida si nota la capacità di scavare
nell’intimo di alcuni personaggi riducendo a sfondo la
spettacolare ambientazione.
Dopo Aida, Verdi decise di ritirarsi a vita privata. Iniziò
così il periodo del grande silenzio, sia pure interrotto
dalla Messa di Requiem scritta in occasione della morte di
Alessandro Manzoni. A far uscire Verdi dall’isolamento fu
Arrigo Boito , il compositore scapigliato che lo aveva
pubblicamente offeso nel 1863 ritenendolo causa del
provincialismo e dell’arretratezza della musica italiana del
tempo.
Luciana Distante
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