001..::.09.02.2013
Nella foto, la soprano, Luciana Distante.
Iniziamo oggi, questo «percorso musicale» a
cura di Luciana Distante, soprano. E' una iniziativa
dell'Assodolab riservata a coloro che amano la "buona
musica" e gli "autori del passato" che ci accompagnerà per tutto l'anno 2013 su
queste pagine web del nostro Supplemento di informazione
on-line
www.lasestaprovinciapugliese.it
La prossima uscita è il prossimo sabato.
La Redazione
Prof. Agostino Del Buono
Regione Puglia, LECCE..:: Aida (1871) è un'opera in
quattro atti di Giuseppe Verdi, su libretto di Antonio
Ghislanzoni, basata su un soggetto originale di Auguste
Mariette. La prima rappresentazione avvenne al Teatro
Khediviale dell'Opera del Cairo, il 24 dicembre 1871,
diretta da Giovanni Bottesini. Per l'anteprima italiana
sotto la sua diretta supervisione, Verdi scrisse
un'ouverture, che però alla fine non venne eseguita per un
ripensamento dell'autore che preferì lasciare il breve
preludio scritto per la premiere del Cairo.
Ogni epoca decifra a suo modo le espressioni artistiche del
passato. La sensibilità e il gusto estetico contemporanei
tendono a individuare nelle opere del teatro musicale temi e
risvolti che in passato non venivano presi in
considerazione, con argomentazioni ed esiti spesso
antitetici. Aida non fa eccezione. Perciò, in tempi
complessi come i nostri, a seconda dei punti di vista, si è
voluto sottolineare in Aida un atteggiamento politically
correcto, al contrario, formulazioni razziali, se non
razziste. Nel primo caso, la condizione della schiava etiope
sarebbe speculare alla lacerazione sperimentata da tante
donne ovunque si perpetui una guerra sanguinosa tra popoli,
etnie o religioni. Secondo un’altra ottica, il lavoro di
Giuseppe Verdi evidenzierebbe invece non solo la difficoltà
del pensiero occidentale di confrontarsi con culture altre,
ma si configurerebbe come un’opera collocabile in un
contesto imperialista.
L’Oriente ha sempre esercitato una forte fascinazione
estetica, divenendo il luogo misterioso - più fantasticato
che reale - in cui l’Occidente, con la sua identità
culturale fondata sulla razionalità e i principi della
logica, immagina istinto e irrazionalità come liberamente
agiti. Non si tratta della rappresentazione di un popolo o
di una terra attraverso le lenti del realismo, bensì
dell’idealizzazione di un mondo misterioso e utopico.
Interpretato quindi in chiave simbolica, l’esotismo è la
mitizzazione dell’altro costituita dal desiderio e dal sogno
di allontanarsi dal proprio ambiente.
Verdi, del resto, inventa il colore locale di sana pianta,
senza ricorrere a temi etnici ricavati dalla musica egiziana
o araba. I mezzi usati per creare un’atmosfera di lontananza
- storica più che geografica - sono interni all’orchestra
classica e al bagaglio tonale tradizionale (secondo grado
abbassato, oscillazioni fra maggiore e minore, salmodia
chiesastica). Verdi non è interessato alle politiche
coloniali, né alle questioni razziali. La sua prima
preoccupazione è il conflitto drammatico tra ethos e bios,
tra ragion di Stato e amore romantico. Sulla scia del Don
Carlo, ritorna ad affrontare in Aida il tema dell’individuo
travolto dai meccanismi della storia, schiacciato tra
inclinazioni private e pubblici doveri, oppresso da una
religione intesa come strumento di potere crudele e
implacabile.
La novità del linguaggio di Aida consiste nell’inquadrare il
dolore di una donna esiliata, innamorata di un uomo che
appartiene a un’altra terra e a un altro popolo, in una
cornice che in apparenza si concede all’esotismo in voga
all’epoca, ma in realtà è qualcosa di molto più complesso.
La tinta orientale riguarda per esempio la nostalgia della
patria lontana, simbolo della felicità promessa, e investe
anche un elemento piuttosto insolito in Verdi, quello della
sensualità. A parte qualche accenno, nelle opere precedenti
il musicista non aveva mai piegato le sue melodie per
esprimere bellezza e avvenenza di un’eroina femminile.
Accompagnata per tutta l’opera da un tema sinuoso, la
schiava etiope sembra prefigurare per alcuni aspetti le
carnali esponenti del decadentismo prossimo venturo. Si
percepiscono segnali che sembrano connotare la femminilità
seducente, il richiamo erotico, la deviazione dalla norma
del comportamento, ma tutto è come proiettato nella
dimensione del ricordo. La realizzazione della felicità è
sempre rimandata, il tempo dell’appagamento relegato in uno
spazio mentale, immaginario. Nel momento in cui il desiderio
sessuale sembra emergere concretamente, viene subito
deviato, sublimato.
La tinta esotica riguarda anche la cornice rituale, formata
dalle danze, dai canti sacri intonati dalle sacerdotesse e
dalle melopee dei sacerdoti che arieggiamo il gregoriano.
C’è una divisione netta fra un discorso musicale maschile,
che impiega il linguaggio colto della musica occidentale
(marce, contrappunto, musica severa da chiesa, melodie nette
dal ritmo ben caratterizzato) e un discorso femminile
esotico intriso di stilemi comunque tipici della musica
orientaleggiante inventata in Europa. Tuttavia il
compositore non intende evidenziare semplicemente la
divisione fra il mondo degli oppressori e quello degli
oppressi: più che un dramma politico incentrato
sull’imperialismo egiziano, l’opera delinea la tragedia
dello scontro tra pubblico e privato. Ne viene che la
vicenda di Aida, al di là della particolare ambientazione
storico-geografica, è simbolica di ogni situazione in cui le
aspirazioni degli individui soccombono allo scontro tra
forze storiche, alle ragioni di un potere che schiaccia chi
vi si oppone. Il nodo del colonialismo, in definitiva, non è
tematizzato: è presente sullo sfondo storico-culturale e va
considerato in una interpretazione di ampio respiro che
tenga presente il contesto in cui l’opera viene concepita .
A preoccupare politicamente Verdi, all’epoca della
gestazione di Aida, non sono infatti le vicende coloniali,
ma l’espansione dell’egemonia tedesca in Europa. Così mette
in guardia il partito filogermanico in Italia e, riferendosi
al conflitto in corso, afferma con lucidità: “Non è più una
guerra di conquista, d’ambizione; è una guerra di razza e
durerà molto tempo”. Ma la guerra, oltre che militare, è
pure culturale. Tra le motivazioni che spingono il
compositore ad accettare una commissione e un soggetto tanto
particolari, è plausibile ci sia anche la volontà di tenere
alto il nome dell’Italia a livello europeo, contrastando
l’offensiva esterofila e avanguardista che nel 1868 si
concretizza nella rappresentazione alla Scala di Milano del
Mefistofele di Boito e, qualche settimana prima del debutto
di Aidaal Cairo, nella prima italiana del Lohengrina
Bologna. Alla minaccia dell’imminente invasione wagneriana e
alle sfide dei sostenitori della “musica dell’avvenire”
Verdi, prossimo alla sessantina, risponde con un’opera per
alcuni versi restauratrice, una summa del melodramma fondato
sui fasti della gloriosa tradizione rossiniana.
Con Aida, insomma, l’opera italiana assume una dimensione
eroica, mentre il grand-opéra si sostanzia di autentica
passione umana. La rete dei conflitti tra i personaggi
principali si delinea in una serie di grandi duetti,
nettamente prevalenti sulle arie, ed emerge in tutta la sua
evidenza grazie alla cosiddetta poetica del contrasto, unita
al calcolo preciso di quanto un effetto deve durare. Aida ha
un impianto teatrale e drammatico poderoso basato sui
contrasti chiari e con forti conflitti anche interni.
Oscilla tra momenti di grande violenza collettiva, ma anche
affettiva e psicologica, e passaggi di toccante dolcezza,
che danno voce alle illusioni dei personaggi, alla realtà
alla quale aspirano. Aida, Radames e Amneris sono tutti e
tre tormentati e perdenti, proprio perché non è possibile
alcuna conciliazione tra sentimenti individuali e grandi
pulsioni collettive manipolate e organizzate entro una
ritualità fanatica. La scena del trionfo non è concepita da
Verdi come spettacolarità gratuita, ma è l’immagine musicale
e scenica dei limiti che storia e politica frappongono agli
ideali e alla libertà del singolo. Un quadro impressionante
del tragico rapporto tra apparato di potere e sorte
individuale.
La scena finale è un vertice nell’espressione di questo
senso di tragica amarezza e rappresenta per il pubblico un
autentico momento di catarsi. Così, in un palcoscenico
articolato su due livelli, abbiamo un geniale ribaltamento
dell’apparente soluzione del dramma. In alto, nel tempio di
Vulcano invaso dalla luce, Amneris sconfitta invoca la pace:
una sola nota ripetuta per un de profundis, una sorta di
Requiem egiziano. In basso, nell’oscuro sotterraneo in cui
vengono sepolti, Aida e Radames sono immersi in un mare di
luce musicale. L’orchestrazione combina magistralmente
sonorità sottili, trasparenti, evocando un mondo etereo nel
quale si realizza la felicità negata in terra. L’unico vero
altrove che Verdi, anticlericale convinto ma a suo modo uomo
di fede, riesce a concepire è la vita eterna. “Addio valle
di pianti…si schiude il ciel”, cantano all’unisono soprano e
tenore e, finalmente, due mondi in conflitto si conciliano.
Anche in questa opera Verdi fa largo ricorso ad ampi motivi
caratterizzanti: richiami a stati d'animo fondamentali del
dramma. tra questi spicca certamente quello dell'amore di
Aida, con cui inizia il preludio dell'opera e al quale si
contrappone, rigido, austero e glaciale, quello dei
sacerdoti. La protagonista del dramma è ricordata
soprattutto per le sue lacrime d'amore che prorompono
nell'invocazione dolorosa "Numi, pietà!" e per il nostalgico
sogno di foreste vergini immense ed estatiche rischiarata
dal solo lume lunare che emerge nella romanza "O cieli
azzurri" e nella seduzione del "Fuggiam gli ardori
inospiti".
Una sottile e ardente malinconia si effonde da questi canti
a cui la strumentazione dona maggiore fascino; nel caso di
"O cieli azzurri", fruscii di archi in sordina, mormorio di
flauti, le nenie dell'oboe e il pianto del fagotto. Anche
l'elemento religioso ha una forte valenza nell'opera ed è
presente in quasi tutta l'opera grazie ad espressioni vive e
piene di poesia come l'invocazione di Aida "Numi, pietà!".
In ogni caso, la melodia vocale è sempre il mezzo di cui
Verdi si avvale, con la tendenza maggiore alle forme aperte
e all'aderenza tra pensiero verbale e canto, al fine di
donare unità e completezza all'opera.
Aida fu anche uno dei rari punti d’incontro fra Maria Callas
e Renata Tebaldi, due cantanti il cui repertorio era
fondamentalmente diverso. In questo caso, furono entrambe
grandi, partendo da presupposti completamente diversi. La
Callas diede al personaggio uno spessore drammatico e un
pathos unici, con raffinatezze di fraseggio che
caratterizzano come mai prima il personaggio. Aida non è
soltanto la “buona” opposta alla “cattiva” Amneris, la
Callas ne sottolineò le angosce, la frustrazione, ma anche
la capacità di seduzione ed i momenti di ribellione. La
Tebaldi era invece ancorata agli accenti della tradizione
con tutte le sue incrostazioni, ma la voce era talmente
sublime che si passò sopra la consueta recitazione enfatica.
Eccellenti Aide sono state la Price, la Gencer e anche la
Millo.
Luciana Distante
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