030 ..:: 30.09.2022
..:: Sopra, il grande protagonista Nino
Rota in una foto d’epoca.
TRINITAPOLI ..:: Federico Fellini aveva
iniziato la sua carriera facendo il caricaturista per il
“Marc’Aurelio” e a poco a poco iniziava a farsi strada
all’interno del mondo del cinema, iniziando come
sceneggiatore per Roma, città aperta di Rossellini (1945) e
proseguendo poi con la coregia di “Luci del varietà” (1950)
assieme ad Alberto Lattuada. Il primo film in cui si è
dedicato interamente alla regia da solo e non in
collaborazione con altri registi è “Lo sceicco bianco”,
proseguendo poi con “I vitelloni” del 1953 e “La strada” del
1954.
Prima di giungere ai due capolavori che segneranno
profondamente la storia del cinema italiano, “La dolce vita”
del 1960 (film che «chiude e apre una nuova stagione del
cinema italiano, abbracciando e precorrendo non poche linee
di sviluppo futuro», come cita Sergio Miceli nel suo
"Colloquio con Nino Rota" contenuto in "Musica e cinema
nella cultura del Novecento"), “Otto e mezzo” del 1963,
Fellini girerà “Il bidone” (1955) e “Le notti di Cabiria”
(1957). La collaborazione tra i due artisti, Rota e Fellini,
iniziò nel 1952 proprio con “Lo sceicco bianco” e segnò
l’inizio di una profonda amicizia e stima tra i due artisti
che non si spense mai. Si conobbero per la prima volta alla
Lux Film e Fellini rimase affascinato da Nino Rota, ci fu da
subito un’intesa eccezionale tra i due artisti e ognuno dei
due provava una profonda ammirazione per il compagno. Rota
in quegli anni era nel pieno della sua celebre carriera sia
come compositore che come insegnante e l’idea di impegnarsi
a scrivere un’altra colonna sonora non gli aggradava molto,
ma appena conobbe il regista cambiò radicalmente idea e capì
che assieme avrebbero lavorato in piena sintonia. Riporto
uno stralcio del pensiero di Fellini su Rota dal libro di
Pier Marco De Santi "Nino Rota, le immagini e la musica":
«Quando sono andato a casa sua la prima volta, mi ha
presentato subito la mamma e poi il pianoforte, al quale si
è seduto suonicchiando un motivo che già aveva preparato.
Era il tema di Lo Sceicco Bianco. Quando prima ancora che io
confusamente gli dicessi che desideravo avere la sua musica,
se aveva tempo e voglia di farla. Quel motivo struggente che
suonava Nino andava già benissimo. […] E da quella prima
nota, da quella prima frase, la cosa è continuata con un
flusso inarrestabile, al punto che mi sembra sempre che sia
lo stesso film: non ho la sensazione di aver fatto tanti
film». Per i suoi film Fellini era legato profondamente a
vecchi temi musicali come “La Titina” o “La marcia dei
gladiatori”, girava le scene dei suoi lungometraggi con
quelle musiche riprodotte dai dischi e difficilmente egli si
distaccava da quelle commoventi sonorità; solo il tocco
magico del pianoforte di Rota riusciva a fargli cambiare
idea e a fargli accogliere i temi che magicamente
provenivano dalla fantasia e dall’ispirazione del
compositore. Le sue melodie più belle scaturivano al
tramonto, dalle 6 alle 8, momento di maggiore ispirazione
per Rota. Non si riesce quasi a cogliere il motivo della
perfetta simbiosi che coesisteva tra i due artisti, né si
riesce ad afferrare razionalmente la logica che univa questo
rapporto straordinario, ma si riescono a sentire chiaramente
i risultati egregi che scaturivano da questo rapporto molto
più che funzionale. Nonostante la grandissima sensibilità
artistica di entrambi, la stranezza di questo incredibile e
riuscitissimo binomio risiede nel fatto che l’uno era
estraneo all’arte dell’altro: sembra che per entrambi gli
artisti «ci sia un reciproco disinteresse per l’arte altrui:
l’ignoranza di Fellini per la musica e di Rota verso il
cinema, che vede come un’arte di secondo livello. Rota
confessa di addormentarsi durante le visioni degli stessi
film per cui doveva comporre le colonne sonore», sostiene
Clio Dalla Polla, autrice de "La musica di Nino Rota nel
cinema di Federico Fellini: analisi musicale di 8 ½". La
congenialità dei due artisti derivava probabilmente
dall’ottimo intuito che avevano, da una raffinatissima
sensibilità artistica e senza dubbio avevano un’anima molto
affine.
Chiara Di Bert
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